Quando la facoltà di approssimazione al bello diviene preponderante nell’uomo , ebbene questo lo fa diventare poeta nel senso più generale del termine.
In questo contesto l’armonica azione di tale tendenza con quelle che possono essere chiamate le influenze sociali permette un’amplificazione del divenire poetico perché favorisce la percezione di relazioni tra le cose sconosciute ai più. L’origine di tali relazioni è assolutamente naturale: Shelley immagina che la natura imprima le proprie caratteristiche sulle cose del mondo, ma esse non ci sorprendono perché siamo ‘abituati’ a considerarle tali. Occorre un guizzo per superare l’abitudine e individuare “il bello e il vero insiti nel rapporto tra esistenza e percezione e poi tra percezione ed espressione“. Quando si compie il salto si entra nell’universo della poesia.
Strumenti straordinari di ‘focalizzazione’ vengono dunque forniti a chi si impegna nel ‘fare poetico’: in questo modo coltivare la poesia significa toccare i campi più disparati dell’agire e del creare umano, come ad esempio quello della legislazione o addirittura quello della profezia. Ritorna l’idea del valore collettivo – nei nostri tempi si direbbe ‘politico’ – della poesia, che si serve di uno scardinamento del tempo, dello spazio e del numero, per aprire varchi che portino direttamente a una specie di realtà sovraordinata nella quale c’è la vera essenza delle cose. Si parte dunque dalla percezione ma si arriva alla ‘sovrapercezione’ nell’individuazione di una creatività adatta a indicare strade di conoscenza e di consapevolezza tracciate e praticate da coloro che non si accontentano della realtà così come essa è.