La poesia – in realtà Shelley dice ‘il verso’ – è l’eco della musica eterna. Per arrivare a questa asserzione l’autore parte dalla distinzione (di tipo linguistico) tra lingua metrica e lingua non metrica. Se è vero che suoni e pensieri sono in rapporto sia l’uno con l’altro sia con ciò che essi rappresentano, è tuttavia altrettanto vero che sia il suono che i pensieri sono l’espressione di un ordine insito nelle cose che sì parte dalla mente, ma si riverbera subito fuori di essa mediante un regolarità di frequenza, comunemente conosciuta come armonia. non è dunque ilmetro, il fondamento poetico, bensì l’armonia sulla quale esso si fonda. Questo cambia radicalmente la prospettiva: non è poeta solo colui che sa sfruttare al massimo queste consonanze mediante un uso coloristico del linguaggio, bensì lo è chi riesce a far scoccare la fiamma riferentesi all’armonia perfino in pensieri spogli di forma e di movimento, come possono essere quelli, ad esempio, meramente filosofici. Le parole di questi tali poeti/non-poeti svelano la permanente analogia tra le cose mediante immagini che partecipano della vita della verità. Ma ancora di più quando i grandi spiriti conciliano nel suono della parola l’armonia e il ritmo, non necessariamente metrico, del verso, definito come eco di una musica eterna. La poesia è dunque uno stretto sentiero appeso tra idee, suono, armonia ed eternità. L’amalgama che ne esce, piegato dal volere di uno spirito grande, non necessariamente coatto dal mestiere del poeta, è ciò che diviene, di fatto considerato come poesia nel senso più pieno del termine.