Senza soffuse luci
volate basse, illusioni,
come gabbiani attraenti
sul ciglio dell’acqua.
Colline all’orizzonte
vascelli nerocumuli
solcano l’aria
satura di pirati.
Fiorivi, d’anno in anno
e temevi, come arbore
antico,
di veder vanire l’aria
che rinnovava il ragazzo.
Eppure nello scivolare
del fiume eterno
il giovane ch’eri
esplodeva nei pezzi di te,
ormai vecchio.
Etereo spettacolo di sempre
il barbaglio della notte chiara
alluciava il tuo centro
di terrore e bellezze crudeli,
carne e cielo conserti.
Distinguevi luna e lampione,
come ora fai di volti del tutto belli
forzosi d’esistere
cullati dalle onde d’argento
riflesso
come presa agonia
che, a tratti guizzando,
aspetta l’ultimo boccheggio.
Ma lo smarrirsi
che tu ed io, davanti all’insegna
verde
tremolante nell’acqua,
generammo,
già era scritto sul capo
e sulle piante;
attendeva le sole espansioni che,
dolorosamente,
noi, soli, su questo masso
affondando le mani nel liquido
non potevamo,
non potevamo più
affidargli.
(estate 1987)