Quando il lungo delle ombre
non cessa d’ammortare la notte,
il fiato sospende d’andare
e il tempo chiuso nei visceri
torna a percorrer sue peste
solcando rovini sentieri
frascosi, aguzzando spini d’acacia
mielata e stilli d’oceaniche caverne.
Nello zaffiro d’aria al tramonto
cogli i capelli ragazzi, nuvole mosse
da curve e fronti e tempie:
è possibile – chiedi – che somma
stagione preluda a tanto
unisono ma pur sempre scemato
mentre prima la ima elevava
indice Dio verso assenza di mete? –
Abbràccia te stesso,
forte tenendo,
non svanire,
non perdere
ché ad occupare la tua traccia
non venga
alcuno a scompire
materassi a disperdere
colonie officinali e tutti gli odori
raccolti nell’aria, forse musica
anetica spiegazione
se mai avesse bisogno d’essere,
colto nella piega di pelle
che torna liscia al
distendersi senza traccia di ruga,
come l’amica tua ora
non più.
(1988)