A breve il terzo libro di Normalist: Una settimana decisiva.
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NORMALIST 2 – La fuga
Si può trovare nelle librerie digitali NORMALIST – 2 – La fuga, il prosieguo delle avventure di Elias alle prese con la società Normalista. Le cose si complicano per lui: una volta riuscito ad evadere dalla soffocante città di Nikomies, il protagonista si trova sballottato tra inquietanti miniere, al centro di una caccia all’uomo che di…
NORMALIST 1 – I giorni della normalità
Finalmente in libreria digitale NORMALIST. I giorni della normalità la prima parte della trilogia NORMALIST. Un libro distopico che vede come protagonista Elias, un ragazzo particolare, un po’ troppo particolare nella società Normalista in cui vive. Il Normalismo è un movimento politico e sociale che tenta di pacificare una società molto conflittuale esaltando i valori della normalità e della mediocrità eretti a criterio unico di…
Legami – Pascoli 8
Nell’ultima parte dei Discorsi sull’arte poetica pubblicati nel 1897, Pascoli invita il poeta a fare poesia, non a costruire poesia. La differenza sta nella spontaneità. Chi scrive trovando la poesia in ciò che lo circonda è un vero poeta, partecipa del sentimento poetico e riesce a trasmetterlo con forza. Chi invece non trova la poesia nella quotidianità deve fare sforzi per inventarsela e così compone architetture vane, artificiali che non trasmettono nulla se non estetismo vuoto e superficiale. L’invito a ‘entrare nello spirito della poesia‘ viene fatto con uno scopo ben preciso: la comunione degli uomini. Questa idea della poesia in grado di creare ponti tra gli individui appare ai nostri occhi estremamente moderna, soprattutto se si prendono in esame le considerazioni enunciate dopo tale affermazione: “La comunione degli uomini ne sarebbe avvantaggiata; specialmente in questi tempi in cui la corsa verso l’impossibile felicità è con tanto fulmineo disprezzo d’altrui in chi è avanti, con tanta disperata invidia in chi è addietro.”Una poesia vera, in grado di ricostruire tessuto sociale perché fondata su un comune sentire poetico basato sull’assenza del desiderio instancabile di primeggiare, suona alle orecchie dell’uomo del ventunesimo secolo quasi straniante, tanto è lontana dalla mentalità corrente. Pascoli condanna l’ansia di essere felici ad ogni costo intravvista tra gli uomini del suo tempo e definisce infelice questo desiderio quando genera l’angoscia dell’insoddisfazione. È questo il motore dell’incupirsi della società, un’infezione dello spirito a cui bisogna riparare con inoculazioni di poesia libera e civile, generata sulla e dalla realtà e nutrita di semplicità. Riferendosi infine a Virgilio chiude i suoi Discorsi con questa affermazione che potrebbe apparire ingenua: “Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria, né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta tra le classi e la guerra tra i popoli.” Questa visione che può suonare buonista e ingenua, diventa vitale alla luce di quanto è successo nel XX secolo. A partire dalla mala pianta dei nazionalismi che hanno causato le due guerre più micidiali della storia e dei conflitti successivi costellati di genocidi, etnocidi e democidi di massa quali mai l’umanità ha sperimentato prima, l’appello a una ragione poetica del cuore – potremmo quasi dire del buon senso – quale costruttrice di ponti piuttosto che di divisioni, suona come un appello fermo e deciso che può aiutarci a contrastare molte delle deliranti ispirazioni che tanto male hanno fatto e continuano a fare all’umanità odierna. Terminano qui le osservazioni sui Discorsi sull’arte poetica. Nel prossimo post inizieremo a esaminare un altro importantissimo scritto intitolato In difesa della poesia di Percy Bisshe Shelley.
Sorrisi e lacrime – Pascoli 7
Nella penultima parte dei Pensieri sull’arte poetica del 1897, Pascoli arriva al nocciolo della questione: dopo aver constatato che per fare poesia occorre un’anima (anima, si badi bene, non semplicemente ‘pensiero’) disposta a vedere in profondità nelle cose, si interroga nuovamente sul senso e sull’utilità dell’agire poetico. Qual è la verità ultima della poesia? Secondo lui la sua utilità morale e sociale consiste nel fatto che attraverso di essa il poeta riesce a “trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima“. Occorre cioè non semplicemente ‘vivere’ bensì trascendere, entrare dentro le cose e comprenderne il senso profondo. Come si fa a ottenere questo risultato? Come si fa cioè a non considerare gli eventi, i fenomeni quotidiani semplicemente per quello che sono, bensì per il significato che portano? Secondo Pascoli bisogna attraversare l’oscuro tumulto dell’animo umano con l’occhio semplice e sereno del fanciullino che è dentro ciascuno di noi. L’effetto di questo attraversamento è la tranquillità che nasce dal saper vedere luminosità e bellezza in tutto quello che capita nonostante le oscurità e le tenebre. E se non c’è proprio niente di bello, niente di luminoso dentro tale oscurità? Ebbene quegli occhi allora “si chiudono a sognare e a guardar lontano” come a dire che l’estremo rimedio alla miseria della condizione umana è un salto nell’altrove, nel sogno, nell’ideale. Se non possiamo trovare nulla di positivo nel mondo, sembra affermare Pascoli, possiamo però mediante la poesia almeno creare un mondo appagante che culli il nostro desiderio di positività. Naturalmente egli pone i due risultati (vedere il bello nel quotidiano oppure trasporre la bellezza in un mondo ‘ALTRO’) su gradi diversi per prevenire l’obiezione della poesia vista come fuga dalla realtà. Il primo di questi gradi è il più efficace, il più degno della natura umana: entrare nella vita e vederne il positivo sembra essere l’operazione più alta, più nobile. L’altro aspetto, quello di sfondare il muro del reale per navigare nelle regioni ideali appare agli occhi del poeta un terreno meno sicuro, viene paragonato all’operazione che fa il viaggiatore che ama solo i luoghi lontani ed esotici e non sa vedere la bellezza del paesaggio abituale. Eppure è un’estrema ratio importante perché fa compiere comunque un salto al lettore e, vellicandolo con la sincerità di quegli occhi da fanciullo che tutti hanno e celano dentro di loro, lo conduce in un mondo incantato che risuona del reale e indica varchi inaspettati in grado di illuminare perfino le oscurità senza senso.
Rose senza spine – Pascoli 6
Nella terza parte dei Pensieri sull’arte poetica, pubblicati in forma di articoli saggistici nel 1897, (seconda parte del colloquio tra poeta e fanciullino) Pascoli si interroga su una questione di fondo. Qual è il fine della poesia? Perché l’uomo, a un certo punto della sua vita si mette a fruire o a comporre poesia?La prima considerazione ch’egli fa è che la poesia non ha un fine utilitaristico immediato. Non deve averlo. La natura del fanciullino è tale che egli è sempre distratto da qualcosa di nuovo, non persevera, non si ferma a ragionare, aborre la consuetudine. Parimenti chi è contagiato da questa innata curiosità sembra bamboleggiare, sembra incantato a oasservare cose ed eventi di poco conto su cui il ‘savio’, il ‘gestore’, non fa alcun affidamento. Qui c’è la prima grande rottura tra uno stile di vita basato sul logos e quello basato sul mythos. Non ci può essere intesa tra i poeti e i costruttori di realtà – quelli materiali, s’intende – perché è proprio diverso il modo in cui queste due categorie affrontano il mondo e la concatenazione degli eventi che lo guidano.Dunque, se la poesia non porta alcun beneficio o vantaggio di tipo materiale, a che cosa serve?Serve a ‘dilettare‘. Sotto questa parola, Pascoli intravvede alcuni archetipi comportamentali molto importanti che costituiscono la base del saper comprendere poetico.Anzitutto diletto è la capacità BASTEVOLE di gioire davanti ai fiori colti sul sentiero o nelle crepe del muro. L’idea della semplicità d’animo non è nuova, ma assume qui un colore psicologico tutto particolare se contestualizzata alla fine dell’ottocento. L’oggetto più ambito del lavoro umano, l’utile, destinato al sostentamento è desiderato ma non amato. La seriosità non allieta nessuno. Non c’è attrattiva in una vita proiettata esclusivamente – e razionalmente – al proprio sostentamento. Fatta questa premessa, il massimo della poesia sta nella celebrazione dell’intimità familiare, nelle piccole cose, nelle quasi invisibili emozioni domestiche. Attenzione: della quotidianità, alla poesia non interessa nulla riguardo ciò che concerne la materialità della vita. Essa è invece proiettata alla fruizione di un’umanità che si realizza nelle relazioni: in altre parole la poesia canta l’humanitas e si contrappone alla retorica della cultura celebrativa delle virtù sociali. Di qua sta il freddo e l’insensibilità, di là sta la vita. Una vita che ha…
La novità della poesia – Pascoli 5
Nella prima parte del colloquio a tu per tu con il fanciullino – ricordo che stiamo sempre esaminando il testo Pensieri sull’arte poetica di Pascoli, edito nel 1897 – si riprende l’immagine della poesia come un fanciullo che “ragiona a modo suo e dice le cose comuni, sublimi, chiare e inaspettate“. Viene ribadito il concetto che esiste un’immediatezza del testo poetico che attraverso un’opera di semplificazione, di purificazione, di raffinazione, diventa in grado di esprimere grandi verità. Si intravvede in queste parole la polemica che verrà innestata subito dopo contro chi osteggia questo lavoro di poesia, i cosiddetti poetastri, che, non riuscendo nella magistrale opera di semplificazione orpellano e complicano le cose: Pascoli li chiama i pedanti e li contrappone agli innovatori che fanno della forza della loro giovinezza l’unico argomento plausibile, per quanto inaccettabile.Perché questa battaglia? Che cosa porta una visione diretta, semplice e ispirata del ragionare poetico? Pascoli ci arriva per gradi: anzitutto sfata l’equazione: infantile = semplice. Cerca di stanare lo spirito profondo della poesia contestando la conclamata irragionevolezza dell’immediatezza. No, non gli basta sapere che il fanciullo-poeta sa dire cose sublimi in virtù dell’assenza di ragione. Ci deve essere qualcos’altro, di più profondo, di più…
L’immediatezza della poesia – Pascoli 4
Continuando la nostra analisi relativa ai Pensieri sull’arte poetica, editi nel 1897, una delle caratteristiche dell’arte poetica, secondo Pascoli, è la sua capacità di “trasportarci nell’abisso della verità senza farci scendere a uno a uno dei gradini del pensiero“. L’immediatezza della poesia, intesa in senso etimologico come ‘assenza di mediazioni‘ va dunque intesa come la capacità di far arrivare a una consapevolezza più piena senza ricorrere al ragionamento. L’idea che la poesia sia ‘epifanica’ è in realtà un’idea antica, ma Pascoli la arricchisce associandola all’immagine dell’infanzia. Si interroga come questo sia possibile: la risposta è che la poesia dice in modo schietto e semplice cose che vede e sente in un modo limpido.Tale modo di procedere nella conoscenza del mondo è secondo il poeta – e secondo le conoscenze del tempo – tipico dell’infanzia. L’infanzia è l’occhio limpido della psiche umana, libero da orpelli e convenzioni in grado di scrutare nei significati delle cose senza passare attraverso una conoscenza condizionata dalle convenzioni, una conoscenza non naturale, segnata dall’artificialità. Questa antipatia per la convenzione e l’artificiale in arte poetica è ben delineata nel passo in cui egli esorta a non confondere il linguaggio della poesia con quello dell’orazione. Riprendendo l’idea che la tecnica oratoria sia un sofisma artificiale connesso con la volontà di modificare l’aspetto vero delle cose per ottenere uno scopo – ad esempio modificare le opinioni o il comportamento di chi ascolta – Pascoli critica i poeti cerebrali che “ingrandiscono e impiccoliscono ciò che loro piaccia“, che usano le parole non per ‘indicare’ bensì per ‘dipingere’.Insomma la poesia artificiale, cervellotica opera un’interpretazione della realtà che va verso l’estraneità dell’uomo e all’uomo. Il fanciullino invece, ossia il poeta vero che è in noi, dice quello che vede, come lo vede.Ecco svelata l’origine dell’immediatezza: via la mediazione della ragione, la spontaneità artistica afferra il reale e lo presenta com’è: questo violento contatto provoca l’epifania, ossia la subitanea presa di consapevolezza di come stanno le cose. L’intuizione folgorante veicolata dalla tecnica dello svelamento ha il potere di aggirare la ragione e consente all’uomo di penetrare l’essenza senza essere abbagliati dal finto potere della razionalità.Il risultato di tutta questa semplificazione è il tripudio naturale, è il trionfo dell’ingenuità, è il raggiungimento di una natività del linguaggio in grado di toccare le corde più intime e più profonde dell’essere umano.
Contrasti e temperamento – Pascoli 3
Una pagina particolarmente interessante dei “Pensieri sull’arte poetica” di Pascoli (1897) è quella in cui si evidenziano i contrasti dell’arte poetica. Lungi dal vedere in essa la manifestazione di chissà quale potenza ispirativa egli afferma che i segni dell’esistenza della poesia sono semplici e umili. Vediamo quali sono.Al buio la poesia – il fanciullino – ha paura, alla luce sogna; piange e ride senza perché; davanti alla morte ci fa commuovere, nell’allegria ci frena. Insomma rende tollerabile la felicità e la sventura temperandole d’amaro e di dolce. Fa umano l’amore rendendolo elemento di contatto e di vicinanza, fa perdere tempo quando abbiamo fretta, è compagnia nella solitudine; dà il nome a tutte le cose e scopre relazioni e somiglianze ingegnose tra tutto quanto ci circonda. Tutte queste operazioni sono guidate dallo stupore e dalla curiosità. La poesia sembra dunque essere, tra tutti questi contrasti, il temperamento che consolida la personalità dell’uomo, sempre tesa come un arco entro una dualità contrastante: da un lato l’uomo come dovrebbe essere – o come a lui è richiesto che sia – e che va mostrato, dall’altro lo ‘spirito naturale’, ciò che noi siamo veramente, che va tenuto nascosto.Ora, Pascoli si interroga e scopre che l’umanità come civiltà tende al generale, la poesia tende invece al particolare. Dove sta il vero sentire delle cose? Sta in una visione artefatta, finta, aspra, triste, in poche parole sta nel non voler essere come si è, o piuttosto si trova scendendo nella semplicità, nella quotidianità, quasi nella banalità di cose che sono – a dirla come Sbarbaro – semplicemente quello che sono?Il fanciullino che è in noi tende indubbiamente a questo secondo modo di affrontare la realtà. Nell’osservare con stupore pioppi, pettirossi e siepi, lo spirito veramente libero, influenzato e rafforzato dall’ardire poetico “RICONOSCE sempre in essi ciò che vide una volta“. Cade perciò il cipiglio fiero dell’intellettuale che deve sempre generalizzare, perdendo così la capacità di godere delle emozioni – pensiamo a tanta cultura accademica e metodi di insegnamento che anatomizzano il testo poetico e lo uccidono sacrificandolo a una totale estraneità all’esperienza vitale del lettore – cade l’indifferenza di chi conteggia solo assiduamente le cose – verrebbe da riferirsi all’industria della cultura che maneggia sempre più numeri e sempre meno significati – e si rientra in una dimensione di magnificenza della poesia che viene così resa viva, significante, stimolante e gioiosamente spensierata. Un invito da meditare.
È per tutti la poesia? – Pascoli 2
C’è in tutti l’arte poetica? O meglio è per tutti l’arte poetica? Pascoli sembra chiederselo subito, ad apertura delle sue riflessioni del 1897. La domanda non appare retorica, ma egli la risolve con una risposta sbrigativa: se anche ci fosse qualcuno che non partecipa di tale dono di natura, costui sembrerebbe dominato dalla miseria e dalla solitudine. Effetti dell’assenza di poesia dunque sarebbero povertà e assenza di relazioni.Perché tanta recisione nella risposta? Perché secondo Pascoli la poesia formerebbe una sorta di ‘incavo‘ interno attraverso il quale risuonano le voci degli altri uomini. Uno strumento di comunicazione che penetra indirettamente, che risuona nell’animo umano e che mette in corrispondenza la propria anima con quella degli altri. Le caratteristiche di tale corrispondenza sono bidirezionali: tanto riverbera la poesia in entrata quanto in uscita per comunicare con il resto dell’umanità. Al di fuori della relazione che si instaura tramite la poesia v’è solo una relazione d’utilità o di bisogno: una relazione basata su regole – vengono chiamate “leggi” dall’autore – che sono in realtà delle catene. Quando si portano delle catene si è o schiavi o ribelli, non uomini: tutti coloro che pensano di poter fare a meno della magica voce del fanciullino che sta dentro di loro sono in realtà schiavi o ribelli della ragione perché vanno l’uno contro l’altro armati.Chi vive nella poesia, o meglio dando ascolto alla poesia aggiunge una dimensione emotiva fondante per la convivenza civile, in quanto quella parte così negletta – la…