Nella prima parte del colloquio a tu per tu con il fanciullino – ricordo che stiamo sempre esaminando il testo Pensieri sull’arte poetica di Pascoli, edito nel 1897 – si riprende l’immagine della poesia come un fanciullo che “ragiona a modo suo e dice le cose comuni, sublimi, chiare e inaspettate“. Viene ribadito il concetto che esiste un’immediatezza del testo poetico che attraverso un’opera di semplificazione, di purificazione, di raffinazione, diventa in grado di esprimere grandi verità. Si intravvede in queste parole la polemica che verrà innestata subito dopo contro chi osteggia questo lavoro di poesia, i cosiddetti poetastri, che, non riuscendo nella magistrale opera di semplificazione orpellano e complicano le cose: Pascoli li chiama i pedanti e li contrappone agli innovatori che fanno della forza della loro giovinezza l’unico argomento plausibile, per quanto inaccettabile.Perché questa battaglia? Che cosa porta una visione diretta, semplice e ispirata del ragionare poetico? Pascoli ci arriva per gradi: anzitutto sfata l’equazione: infantile = semplice. Cerca di stanare lo spirito profondo della poesia contestando la conclamata irragionevolezza dell’immediatezza. No, non gli basta sapere che il fanciullo-poeta sa dire cose sublimi in virtù dell’assenza di ragione. Ci deve essere qualcos’altro, di più profondo, di più…
Categoria: Poesia
L’immediatezza della poesia – Pascoli 4
Continuando la nostra analisi relativa ai Pensieri sull’arte poetica, editi nel 1897, una delle caratteristiche dell’arte poetica, secondo Pascoli, è la sua capacità di “trasportarci nell’abisso della verità senza farci scendere a uno a uno dei gradini del pensiero“. L’immediatezza della poesia, intesa in senso etimologico come ‘assenza di mediazioni‘ va dunque intesa come la capacità di far arrivare a una consapevolezza più piena senza ricorrere al ragionamento. L’idea che la poesia sia ‘epifanica’ è in realtà un’idea antica, ma Pascoli la arricchisce associandola all’immagine dell’infanzia. Si interroga come questo sia possibile: la risposta è che la poesia dice in modo schietto e semplice cose che vede e sente in un modo limpido.Tale modo di procedere nella conoscenza del mondo è secondo il poeta – e secondo le conoscenze del tempo – tipico dell’infanzia. L’infanzia è l’occhio limpido della psiche umana, libero da orpelli e convenzioni in grado di scrutare nei significati delle cose senza passare attraverso una conoscenza condizionata dalle convenzioni, una conoscenza non naturale, segnata dall’artificialità. Questa antipatia per la convenzione e l’artificiale in arte poetica è ben delineata nel passo in cui egli esorta a non confondere il linguaggio della poesia con quello dell’orazione. Riprendendo l’idea che la tecnica oratoria sia un sofisma artificiale connesso con la volontà di modificare l’aspetto vero delle cose per ottenere uno scopo – ad esempio modificare le opinioni o il comportamento di chi ascolta – Pascoli critica i poeti cerebrali che “ingrandiscono e impiccoliscono ciò che loro piaccia“, che usano le parole non per ‘indicare’ bensì per ‘dipingere’.Insomma la poesia artificiale, cervellotica opera un’interpretazione della realtà che va verso l’estraneità dell’uomo e all’uomo. Il fanciullino invece, ossia il poeta vero che è in noi, dice quello che vede, come lo vede.Ecco svelata l’origine dell’immediatezza: via la mediazione della ragione, la spontaneità artistica afferra il reale e lo presenta com’è: questo violento contatto provoca l’epifania, ossia la subitanea presa di consapevolezza di come stanno le cose. L’intuizione folgorante veicolata dalla tecnica dello svelamento ha il potere di aggirare la ragione e consente all’uomo di penetrare l’essenza senza essere abbagliati dal finto potere della razionalità.Il risultato di tutta questa semplificazione è il tripudio naturale, è il trionfo dell’ingenuità, è il raggiungimento di una natività del linguaggio in grado di toccare le corde più intime e più profonde dell’essere umano.
Contrasti e temperamento – Pascoli 3
Una pagina particolarmente interessante dei “Pensieri sull’arte poetica” di Pascoli (1897) è quella in cui si evidenziano i contrasti dell’arte poetica. Lungi dal vedere in essa la manifestazione di chissà quale potenza ispirativa egli afferma che i segni dell’esistenza della poesia sono semplici e umili. Vediamo quali sono.Al buio la poesia – il fanciullino – ha paura, alla luce sogna; piange e ride senza perché; davanti alla morte ci fa commuovere, nell’allegria ci frena. Insomma rende tollerabile la felicità e la sventura temperandole d’amaro e di dolce. Fa umano l’amore rendendolo elemento di contatto e di vicinanza, fa perdere tempo quando abbiamo fretta, è compagnia nella solitudine; dà il nome a tutte le cose e scopre relazioni e somiglianze ingegnose tra tutto quanto ci circonda. Tutte queste operazioni sono guidate dallo stupore e dalla curiosità. La poesia sembra dunque essere, tra tutti questi contrasti, il temperamento che consolida la personalità dell’uomo, sempre tesa come un arco entro una dualità contrastante: da un lato l’uomo come dovrebbe essere – o come a lui è richiesto che sia – e che va mostrato, dall’altro lo ‘spirito naturale’, ciò che noi siamo veramente, che va tenuto nascosto.Ora, Pascoli si interroga e scopre che l’umanità come civiltà tende al generale, la poesia tende invece al particolare. Dove sta il vero sentire delle cose? Sta in una visione artefatta, finta, aspra, triste, in poche parole sta nel non voler essere come si è, o piuttosto si trova scendendo nella semplicità, nella quotidianità, quasi nella banalità di cose che sono – a dirla come Sbarbaro – semplicemente quello che sono?Il fanciullino che è in noi tende indubbiamente a questo secondo modo di affrontare la realtà. Nell’osservare con stupore pioppi, pettirossi e siepi, lo spirito veramente libero, influenzato e rafforzato dall’ardire poetico “RICONOSCE sempre in essi ciò che vide una volta“. Cade perciò il cipiglio fiero dell’intellettuale che deve sempre generalizzare, perdendo così la capacità di godere delle emozioni – pensiamo a tanta cultura accademica e metodi di insegnamento che anatomizzano il testo poetico e lo uccidono sacrificandolo a una totale estraneità all’esperienza vitale del lettore – cade l’indifferenza di chi conteggia solo assiduamente le cose – verrebbe da riferirsi all’industria della cultura che maneggia sempre più numeri e sempre meno significati – e si rientra in una dimensione di magnificenza della poesia che viene così resa viva, significante, stimolante e gioiosamente spensierata. Un invito da meditare.
È per tutti la poesia? – Pascoli 2
C’è in tutti l’arte poetica? O meglio è per tutti l’arte poetica? Pascoli sembra chiederselo subito, ad apertura delle sue riflessioni del 1897. La domanda non appare retorica, ma egli la risolve con una risposta sbrigativa: se anche ci fosse qualcuno che non partecipa di tale dono di natura, costui sembrerebbe dominato dalla miseria e dalla solitudine. Effetti dell’assenza di poesia dunque sarebbero povertà e assenza di relazioni.Perché tanta recisione nella risposta? Perché secondo Pascoli la poesia formerebbe una sorta di ‘incavo‘ interno attraverso il quale risuonano le voci degli altri uomini. Uno strumento di comunicazione che penetra indirettamente, che risuona nell’animo umano e che mette in corrispondenza la propria anima con quella degli altri. Le caratteristiche di tale corrispondenza sono bidirezionali: tanto riverbera la poesia in entrata quanto in uscita per comunicare con il resto dell’umanità. Al di fuori della relazione che si instaura tramite la poesia v’è solo una relazione d’utilità o di bisogno: una relazione basata su regole – vengono chiamate “leggi” dall’autore – che sono in realtà delle catene. Quando si portano delle catene si è o schiavi o ribelli, non uomini: tutti coloro che pensano di poter fare a meno della magica voce del fanciullino che sta dentro di loro sono in realtà schiavi o ribelli della ragione perché vanno l’uno contro l’altro armati.Chi vive nella poesia, o meglio dando ascolto alla poesia aggiunge una dimensione emotiva fondante per la convivenza civile, in quanto quella parte così negletta – la…
Riflessioni sull’arte poetica – Pascoli 1
Che cos’è l’arte poetica? Nel 1897, in occasione di una serie di articoli scritti per la rivista “Il Marzocco“, Pascoli ha tentato una prima risposta a questa domanda, risposta che poi è stata ampliata e rielaborata una decina di anni più tardi nel celeberrimo testo intitolato “Il fanciullino“. Secondo lui esiste uno sdoppiamento nella personalità umana, divisa tra essere adulti e permanenza dell’infanzia. Questa scissione non è nuova: già Shelley, ad esempio, nel suo “A defense of a poetry” datato nel 1821, afferma che la vita mentale dell’uomo naviga tra ragione e immaginazione, e attribuisce la facoltà poetica all’immaginazione, in grado di conservare vivezza e plasticità ai pensieri umani. Anche nella visione di Pascoli l’aspetto poetico è rappresentato da un fanciullo interiore che conserva in sé freschezza, desiderio di purezza, spontaneità, vigore. Tutto questo si contrappone alla noia e alla pesantezza della vita ‘realistica’, quotidiana, adulta, razionale, capace di soffocare ogni empito di creatività dentro i suoi gravami regolativi.Nella fanciullezza, personalità – io cosciente, diremmo oggi, o ‘io della realtà‘ – e fanciullino convivevano bene, poi le cose, a partire dall’adolescenza – si sono ingarbugliate.Da adulti trasciniamo il nostro io come fosse malato, silenzioso, triste: per fortuna dentro di noi rimane questo fanciullo che di tratto in tratto fa udire la sua voce, la voce della poesia e ci restituisce un po’ di gioia, di stupore. In questa visione la poesia ha una sua funzione ben precisa: tonifica e conferisce nuovamente vita alla nostra vita ch’è morta. La poesia dunque è rivitalizzante, tende a costituire un terreno privato e interiore nel quale ci si coltiva per non soffocare e soccombere alla gravezza della quotidianità. Questa idea ha un corollario importante: se è vero che sussiste questa scissione interiore in conseguenza della quale v’è la lotta dei due movimenti interni sopra descritti, ne consegue che l’immaginazione, qui rappresentata dall’arte poetica, ha una propria esistenza che è indipendente da quella mentale concreta fatta di presenza a se stessi e di razionalità. Tale vita non si può controllare, ha sue regole, sue leggi e di solito cozza con la realtà. Quanto è composto un uomo razionale, tanto è scomposto il suo fanciullino interiore, quanto è rassegnata la ragione, tanto, al contrario, è entusiasta e desiderosa di ‘meraviglia‘ l’aspirazione poetica.Da tali risorse scaturisce dunque la sorgente poetica: il canto che ne esce – più avanti il fanciullino è definito ‘musico‘ – è continuo e miracoloso, non ha mai fine e…
In difesa della poesia
Scriveva Shelley in A defense of poetry (1821) : “La poesia è davvero qualcosa di divino. Essa è a un tempo il centro e la circonferenza della conoscenza; è ciò che che comprende tutte le scienze e a cui tutte le scienze devono essere ricondotte. LA poesia, diversamente dal raziocinio non è un potere da esercitarsi in accordo con la volontà. Un uomo non può dire: «Voglio comporre poesia». Non può dirlo neanche il più grande poeta, perché lamente quando crea è come una brace che sta spegnendosi, che una qualche invisibile forza, simile a un vento incostante, ridesta a un momentaneo splendore.” Questo testo indubbiamente animato da un senso romantico evidentissimo, contiene alcune idee che paiono adattarsi a tempi come i nostri. Esaurita la fiducia in una dimensione asettica, oggettiva della conoscenza, anzi addirittura scientifizzando la non scientificità della conoscenza possibile, di fatto gli scienziati sono diventati i nuovi poeti, i nuovi affabulatori dell’evo moderno postatomico. Vengono alla mente i sacerdoti dell’atomo partoriti dalla fantasia di Van Vogt che partendo dalla scienza, d’un tratto si sbarazzano dell’apparato scientifico per cercare di dominare una conoscenza andata fuori controllo e diventano i torpidi sostenitori d’un sistema regredito. La scienza diventa religione, così come la conoscenza diventa oggi narrativa e torna a necessitare degli strumenti narrativi della poesia per trovare una sua strutturazione. Per questo ho deciso di aprire gli archivi e di ripercorrere a vario titolo alcune tappe di composizione poetica. La prima che ho intitolato “Fase quattro” è l’ultima in ordine di composizione mentre nella pagina fan ricostruisco il percorso che negli anni ha portato a questi ultimi testi. Poesie per un anno è un progetto che, attraverso una scansione di tipo temporale (non strettamente cronologico), tocca alcuni nodi vitali di riflessione come la potenzialità delle parole, l’attribuzione di un senso al comune pensare umano, il desiderio di elevazione che collide con la presa di coscienza dei limiti antropologici. Fase quattro è disponibile presso StreetLib shop. Un’anteprima è consultabile qui.