Ed ecco finalmente l’ultimo pianerottolo. Lì, l’odore rancido del vano scala si mescolava a quello di muffa della soffitta. Faceva molto caldo.
«Maledetta estate» brontolò il Briga, mentre estraeva la chiave bitorzoluta. La infilò nella toppa e aprì la porta. Una gradevole frescura lo avvolse mentre richiudeva l’uscio.
«Benedetto condizionatore» sospirò e si lasciò cadere sulla poltrona quasi sfondata di un minuscolo salottino. Rimase con gli occhi chiusi un bel pezzo mentre realizzava d’essere finalmente a casa, dopo aver passato un giorno infernale sempre in giro su quella scomoda bicicletta per le vie della città. Si tolse la maglietta e andò davanti allo specchio. Due segni rossi incidevano le spalle.
«Devo allargare le spalline dello zaino» disse sfregandosi quelle abrasioni. Si tolse i pantaloni e rimase in mutande.
In cucina aprì il frigo e si prese la sua birrettina fresca, poi tornò a sedersi sulla poltrona.
Se avesse dovuto dare un nome al suo stato in quel preciso momento avrebbe detto ‘stanco’.
Stanco, stanco, di una stanchezza spessa, quasi tagliente.
Come per esempio poter muovere appena le membra per spostarsi dalla poltrona al divano, o per andare in bagno. Ma solo quello, nient’altro.
Dov’era finita la sua energia giovanile? Ripensò al sé di venti, trenta, quaranta anni prima e rabbrividì. Sospirò e si accasciò, vieppiù rassegnato, sui cuscini stinti del suo sedile.
Così tanti anni erano passati ed eccolo lì, a crucciarsi sempre di più d’aver vissuto una vita insensata, piatta sugli obiettivi primari del bere, del mangiare, del dormire e del fare di quando in quando qualche sveltina…
E le prospettive? E la Prospettiva? Quella che aveva ben chiara da ragazzo, di voler diventare qualcuno nel mondo per opera d’ingegno o di pensiero. In effetti in quella fase della vita sentiva schiudersi davanti le infinite possibilità della riuscita e della conseguente autostima. Ah, com’era stato bello! Si sentiva il mondo in mano ed era sicuro di riuscire prima o poi a far notare la sua presenza tra tutte le mediocri presenze di questo mondo. Possibile che non ci fosse qualcuno che stesse peggio messo di lui? Qualcuno cioè che non avesse raziocinio, apertura di vedute, amore per le grandezze e financo qualche piccola pretesa d’essere decisivi un paio di volte nella vita.
Così cullandosi, o meglio, crogiolandosi in questi vani sogni s’era trascinato il tempo che gli era stato dato fin quando una mattina non si era svegliato madido di sudore con la quasi certezza d’aver sprecato gli anni migliori della sua vita.
Da allora l’era andata sempre peggio. Il mediocre lavoro di magazziniere nel supermercato Hypersconti del quartiere di Laganario s’era involato la volta in cui il direttore aveva scoperto che un intero bancale di pesce era andato a farsi friggere per la sbadatezza del suo addetto. Quand’era stato rinvenuto, il bancale, la puzza era così spessa, simile a quella di un migliaio di cadaveri putrefatti chiusi in un’unica tomba scoperchiata d’improvviso, da costringere alla chiusura per due giorni di bonifica il supermercato. Senza contare la visita sommamente sgradita dei nuclei investigativi, i quali, sobillati dalle chiamate dei vicini ch’aveano avuto i loro locali invasi da un tale fetore, aveano – a ragione – sospettato la presenza di merci avariate nell’Hypermercato. La multa era stata così salata che quella sera stessa era stato raggiunto dalla lettera di licenziamento e da una telefonata iraconda del suo superiore che l’aveva insultato così a lungo e così profondamente da lasciare dietro di sé le rovine di un ex-dipendente.
Dipoi se n’era andata sua madre, di crepacuore evidentemente, al vedersi un figlio così nullo e privo di nerbo da risultare un tale mollusco che neanche uno straccio di lavoro facile come quello era riuscito a tenersi.
Indi se n’era andata la fidanzata, o meglio la ragazza con la quale egli andava di tanto in tanto a letto ma senza voler stabilire un rapporto troppo stretto, no, che si sentiva ancora giovane, lui, per mettere su casa e, cosa alquanto orrevole, addirittura figli. Non sia mai. Questa, una giovine alquanto scialba ma con un minimo di dignità, all’ennesima rimandatura di un qualche impegno, una qualche promessa, anche solo una piccola prospettiva che non fosse l’abitudinario trovarsi il sabato sera per dormire insieme, s’era stufata e l’aveva mandato al diavolo con alquante brutte parole che l’avevano persino stupito un poco. Non immaginava, signornò, ch’ella potesse avere tanta energia in corpo da scaricargli addosso tutte le nefandezze di cui l’aveva coperto l’ultima volta che l’aveva visto.
Poi lui aveva tentato di riparare, oh, sì, perché in fondo a lei ci teneva, ma ella non aveva più voluto sentir ragioni e l’aveva mandato definitivamente a quel paese, ché quella era la destinazione che secondo lei più gli si confaceva.
Lasciato dunque l’appartamentino che fino ad allora gli aveva pagato sua madre – e ora, buonanima, che se ne era andata non poteva più sostenergli, evidentemente – aveva scovato un ‘buco di ratti’ come la chiamava lui, una soffitta in pieno stile bohemienne che aveva quattro mobili consumati in stile IKEA e, occorre dirlo, era abbastanza calda d’estate e gelidissima d’inverno.
Ma a lui non caleva nulla, no: era abituato a dormire all’addiaccio, con tutte le volte che s’era ritrovato, il mattino, sobrio dopo aver dormito in un fosso o su una panchina quando aveva la testa calda di vino o liquori de la sera precedente, ché ultimamente s’era anche dato alla sbornia quasi quotidiana per riuscire, in qualche modo, secondo il suo pensiero, a smaltire la sfiga o almeno ad annebbiarla un pochino.
E così aveva deciso alfine, un dì che aveva faticato a svegliarsi all’ospedale dopo essere stato aggredito la nottata da un gruppetto di balordi ch’aveva tentato di dargli fuoco, così, per divertimento, di provare a smettere tutto quel gran manovrare di bottiglie e, compratasi una bicicletta la più scassata ch’era riuscita a trovare, aveva messo in piedi una miniditta di trasporti e di consegne per la quale era costretto a pedalare tutto il giorno gravato sulle spalle d’uno zaino che conteneva le merci affidategli perché le portasse a destinazione.
Si sarebbe potuto dire ch’avesse finalmente trovato la sua strada, ma per amor di verità occorre precisare ch’egli era ondivago anche in quello, come lo era stato per tutto il resto. A volte consegnava addirittura quasi con zelo, altre volte invece nicchiava, si fermava ad ogni bar che scorgesse dalla strada – ed erano tanti, ve lo avrebbe potuto assicurare lui stesso – e dopo aver generosamente dato aria a bicchieri e bottiglie andava conciato peggio del più miserabile, puzzolente briacone a presentarsi con il suo pacco in mano, pencolante d’alcol con uno strano sorriso idiota stampato sulla faccia.
Poi però si pentiva e tornava a implorare che non lo mettessero in mezzo a una strada e che avrebbe messo la testa a partito. Tutti sapevano che non sarebbe stato così e continuavano a tenerselo per compassione affidandogli compiti di minor impegno almeno solo per sostentarlo di qualche ricovero danarifero, vista la sua totale incapacità di mantenere il benché minimo dovere.
Le cose si trascinavano così da qualche anno: la tendenza era al brutto sempre più stabile, ma egli viveva candidamente questa sua condizione come se avanti avesse un domani ancora lungo e ricco di sorprese, mentre invece il tempo si accorciava e lui non combinava niente di nemmeno apparenzialmente buono o prospettico.
Se ne rendeva conto? All’apparenza si sarebbe potuto rispondere con un no, ma nell’abbandono di una certa regolarità di pulizia personale, in un sarcastico modo di considerare se stesso e in un mancamento sottilmente maggiore di vivacità intellettuale e di presenza e di capacità di concentrazione, si sarebbe invece considerato il fatto che egli si sentisse ormai il fiato sul collo della Puntuta, e disperatamente cercasse di ovviare al sentimento di essa Morte che prima o poi ti prende, soprattutto quando si approssima la sua vicinanza, con un’esistenza sempre meno lucida e vieppiù stremata, d’evasione e di sbronza permanente.
Stava così dunque con gli occhi fissi anche quando pedalava per le vie del centro, come se tutto quel muovere di piedi e di gambe non lo riguardasse più o comunque lo coinvolgesse assai meno. E questo suo sprofondare in una sorta di olimpica atarassia che lo portava a sbattersene sempre più degli altri, e di quello che volevano da loro, e delle regole che tutti dicevano di rispettare e che poi tutti cercavano di ingannare, aveva un doppio esito: da un parte egli usciva di casa il mattino e tornava la sera senza quasi essersi accorto del giorno inframmezzo; dall’altra egli stava prendendo l’abitudine d’attendere, nel corso dello svolgimento delle sue mansioni, a certi suoi desideri che lo estraniavano dalla realtà, raffigurandolo invece, egli, come ricco, potente, amato e invidiato da grandi folle.
D’un tratto questo suo nubilante riflettere fu interrotto da un trillo telefonico che proveniva dalla tasca dei pantaloni abbandonati nel mezzo della soffitta.
Ritornato improvvisamente in sé raccolse le energie rimastegli per alzarsi e andare a sfilare il comunicatore dalla tasca ed eventualmente, se fosse riuscito a compiere l’impresa prima che l’interlocutore all’altro capo si fosse stancato, rispondere alla chiamata.
«Pronto?» chiese dopo d’aver scosso il capo d’abito ben bene e aver fatto cadere una miriade di monetine in terra, frutto dei resti che gli venivano resi in tutti i locali nei quali si fermava per ciangottare qualcosa o mantenere alto il llivello liquido dei suoi beveraggi giornalieri.
Un breve silenzio accolse la sua richiesta, tanto che egli pensò quasi d’essere fatto oggetto di un banale scherzo e stava già per chiudere la comunicazione con un vaffa ben indirizzato.
«Mettiti quei cazzo di pantaloni, infilati una maglia e vieni in via D’Aconto. In fretta» rispose una voce remota, gelida e inquietante che gli trapassò tutta la spina vertebrale con un brivido di puro spavento.
«Chi siete?» chiese quando ebbe ritrovato lo spirito per spiccicare qualche parola.
«Devi fare una consegna» rispose lapidaria la voce.
«Ho finito giornata e non…» si apprestò a sbattergli in faccia.
«Non sono abituata ad attendere. Ti aspetto in via d’Aconto, otto» e la comunicazione venne chiusa.
Il Briga rimase interdetto. Non aveva nessuna intenzione d’uscire nuovamente ma entro di sé sentiva come un inappellabile desiderio di vestirsi e andare colà dove era stato chiamato. Non riusciva a decifrare bene quella sensazione, sembrava piuttosto come un bisogno impellente o, meglio, come un ordine a cui non si può disobbedire.
Imprecando si rimise i pantaloni, si infilò la maglietta ancora sudata, riprese lo zaino e di malavoglia si appresto nuovamente a scendere le scale per recuperare la bicicletta ch’avea già legata al palo. Scureggiava in cielo e il tramonto pareva dappresso quando arrivò alla via del convegno.
Si fermò davanti al numero otto. Si guardò un poco intorno e improvvisamente da una scala che affondava nel marciapiede uscì una figura infagottata in una veste che pareva quasi talare. Il volto era assai pallido e le unghie delle mani erano lunghe, acute e dipinte di nero.
Quando lo vide emanò un sorriso sinistro.
Il Briga si guardò intorno ma la via era completamente deserta.
«Signora, sei tu che mi hai chiamato?» chiese avvicinandosi.
Quella estrasse dalle maniche ampie un minuscolo pacco e glielo porse: «Oggi ho fatto tardi e non riesco a fare questa consegna che si trova dall’altra parte della città. Ho bisogno di un aiuto» disse freddamente.
Di nuovo l’effetto che aveva provato la prima volta che l’aveva sentita al telefono si ripetè per la schiena del Beriga, questa volta però con più intensità che crebe fin quasi a creargli uno spasimo nel respiro.
«E dove devo consegnarlo?» chiese quegli prendendo il pacco e ficcandolo nello zaino.
«Al signor Esperio Zambelli. Via del Carminato 35. Si trova dall’altra parte della città» rispose la donna.
«La tariffa è quella del fuori orario. Le costerà quindici euro» disse il Briga tirando fuori un blocchetto di ricevute «Pagamento anticipato»
La donna sorrise sinistramente: «Briga, Briga – è così che ti chiamano no?, anche se non è il tuo vero nome – sei un po’ impudente a chiedere a me del denaro. Ma questa sera ho fretta e mi servi, quindi ti pagherò anche più del dovuto, se eseguirai il tuo compito a puntino e senza intoppi» e detto questo tirò fuori un biglietto da cinquecento euro e glielo diede.
«Non ho il resto» rispose questi respingendolo.
«E chi vuole il resto? Te lo puoi tenere pure tutto» disse la signora ficcandogli nelle mani il biglietto.
Il Briga strabuzzò gli occhi. Intascò senza parlare il bigliettone programmò il navigatore del cellulare e partì a razzo per quella singolare consegna. Arrivato dopo iuna ventina di minuti al portone, suonò.
Si presentò alla porta un uomo sfatto, con una veste da camera logora e il viso color verdigno.
«Un pacco per lei» gli disse dal marciapiede il Briga.
«A quest’ora?» ciangottò l’altro, sospettoso.
«Io non so né l’ora né il giorno… mi hanno quasi buttato giù dal letto per questa consegna e adesso eccomi qua. È lei dunque il signor Zambelli? Esperio Zambelli?»
«Dia qua» disse l’altro sgarbato.
Il Briga gli porse il pacchetto e Zambelli si ritirò immediatamente in casa sua chiudendo la porta a più mandate come se avesse visto il diavolo in persona e temesse che questi potesse entrargli in casa.
«Ce n’è i gente strana» si disse Il Briga montando sulla bicicletta e stava per andarsene quando udì chiaramente un urlo orribile, disumano provenire dalla casa dove aveva consegnato il pacco.
Incerto se intervenire po no, decise che era meglio filarsela e con il sangue ghiaccio nelle vene si mise a pedalare così furiosamente da arrivare alla sua magione in meno di dieci minuti. Lì giunto attaccò alla bell’e meglio la bicicletta al solito lampione e si precipitò di corsa su per le scale fin quando non giunse a chiudere l’uscio con un bel po’ di mandate.
Si accasciò sulla poltrona con la testa che fumava d’ambasce: e che cos’era stato quell’urlo, e chi era la misteriosa mittente, e che cosa poteva esserci in quel pèacchetto….
La testa gli frullava così forte che decise di nascondersi nel suo letto a fare quel che più aveva bramato di fare durante tutta la sua vita, e cioè dormire.
Dopo essersi spogliato si ficcò nel giaciglio e si tirò lke coperte su fino alle orecchie, imponendosi di non pensar più a quell’accidente che gli era capitato.
La sua volontà era talmente acocmpagnata dall naturale predisposizione al sonno che cominciò ad assopirsi ma nel momento dolcissimo in cui si comincia a perdere contezza del proprio corpo per immergersi nella laguna nebbiosa e protettrice del sonno ecco che gli apparve di nuovo la medesima figura di donna.
Ella era in piedi e teneva in mano un lungo bastone le cui estremità si perdevano nella nebbia vorticante. Lo guardò lungamente poi ruppe il silenzio: «Eccellente» disse infine.
Il Briga prese a tremare tutto: «Chi siete?» chiese balbettando.
La donna emise una risatina: «Ti ho pagato assai bene per un piccolo servizio. Ma sono così soddisfatta che ho deciso che potresti diventare mio aiutante. Ho talmente tanto lavoro in questi ultimi tempi che non riesco quasi a vadere tutte le consegne e devo fare»
Il Briga cominciò a sentire una strana sensazione, come se il letto nel quale era disteso si stesse dissolvendo e lui stesse sprofondando in una nuvola che via via si liquefaceva e cedeva sotto la sua schiena.
«Credo che dovreste scegliere qualcuno più adatto di me…» attaccò con la solita lagna che ripeteva ormai da anni a se stesso tutte le sere prima di addormantarsi a proposito del suo stato d’inanità e d’ignavia.
«No, no, dico sul serio» fece lei, e ogni sua parola era bastevole a rendere cieppiù inconsistente il letto. D’un tratto il Briga si sentì sprofondare come se le molle del letto avessero improvvisamente ceduto e cominciò a sentirsi cadere.
«Non dirmi che è venuto il tuo momento. Oh, peccato, avevo trovato un aiutante così efficiente» disse la donna. Dopodiché armeggiò col suo bastone un ampio gesto e con i capelli ritti il Briga vide ch’era una enorme falce. Ridendo la donna la roteò verso di lui e gliela passò veloce sotto i piedi. Con un singulto allo stomaco questi iniziò a cadere, a cadere e a cadere per non fermarsi mai più.