Quindici nani nel bosco…
Sciocca filastrocca che mi accompagna in questa notte azzurra d’estate. Lo vedi anche tu lo zaffiro del cielo a occidente, mentre il sole illumina qualche altra parte del globo terrestre e tu sei sempre qui.
Qualche chilometro di spostamento, ma mai veramente andato. Mai veramente visitato un paese diverso…
Il pianoforte continua a suonare quella melodia che si rincorre, si morde la coda e riprende intatta dentro il profluvio di note veloci. Non c’è tocco ovattato, non c’è tensione, non c’è aspirazione e sensibilità. Un’esecuzione elefantesca, schiacciare i tasti per leggere la prima volta la musica. Senza significato.
Tutto mi appare grigio e lo è davvero in questa boscaglia anonima, uguale in tutte le parti del mondo.
Ma in fondo che cosa ci dovrebbe essere di diverso?
Invecchiando mi sono accorto che tutto è sempre uguale. Viviamo in un fottuto sistema chiuso, in mezzo alle infinite varianti insignificanti c’è solo assoluta uniformità. Cessata l’aspirazione della scoperta degli elementi basilari è tutto finito.
Vecchio piagnone. Potresti ben accontentarti… e invece inventi tutte quelle balle che ti portano a credere d’essere un minuscolo dio in terra, un creatore… come se la tua mente permeata di spazio e di tempo potesse trascendere tutti e due.
Sbagliato. Qualcosa c’è di diverso.
QUALCOSA C’È DI DIVERSO.
Ci deve essere di diverso.
O per lo meno, speri che lo sia.
Mentre le civette cominciano i loro ululati solitari come spari nella notte, sibili che attraversano la pelle con gemiti di terrore, immaginando di essere un topolino, di quelli dei campi, perduto nell’erba alta, sotto attacco, mi stendo sulle foglie dall’intenso odore di muschio.
Perché è l’odore della terra il catalizzatore che mi porterà a identificare il filo perduto che annuncia la differenza.
Ed ecco il punto di partenza.
Sono vecchio, ormai.
Non ancora rincitrullito, ma vecchio abbastanza per annusare la morte lì, dietro i cespugli.
E averne soverchiamente paura.
Bene ha fatto la natura a indebolire la mente degli anziani per impedire loro di pensare troppo al traguardo finale ma intanto…
Secondo punto: sento la mia forza vitale vanire a poco a poco. Un indizio qua e uno là… un vuoto di memoria, un dolore in mezzo al petto, un ginocchio che cede… ma più di tutto è l’affanno che accompagna i miei giorni… un’ansia che cresce per ogni cosa da farsi…. Il desiderio respinto ma quindi seguito di starmene in casa tutto il giorno, magari con la televisione accesa.
Per questo vengo nel bosco: sono un lottatore, ancora, e non voglio cedere. Non subito almeno. Non ancora.
Terzo punto: missione compiuta. Mi sono riprodotto, e così anche i miei figli, il mio segno sulla terra l’ho lasciato. Carne della mia carne e sangue del mio sangue eccetera eccetera. MA intanto loro vanno avanti e io sono lasciato indietro, ad annaspare.
Quarto punto: sono solo. Ho conosciuto in faccia la morte osservandola in chi mi è stata vicino per una ragguardevole parte della mia vita.
E non mi è piaciuta la Nera Ancella.
La luna irradia i rami di bisso argenteo, traslucendoli nel cielo inchiostro notte. Il piano dove sono adagiato in questa notte è solcato dalle striature nere che interrompono la lùcea cerulea del mio astro preferito. Sono colpito dai suoi raggi come quando, ragazzo, ricordo d’essermi spogliato davanti a lei per verificare la leggenda dell’uomo lupo. Quando, esposto senza difese, non successe niente, ebbi tuttavia la sensazione d’essere finito nel suo bacio infinito, labbra deliziose che frugavano il mio corpo in tutti i suoi recessi.
Ma ora non posso denudarmi così davanti ai suoi occhi: la mia pelle rugosa e il corpo sformato non le farebbero certo una buona impressione.
Eppure è proprio in questo momento che qualcosa si risveglia nel mio cervbello.
E forse è questa la differenza che vorrei cogliere.
Mi viene in mente accostando le due immagini che attraversano lo spazio della coscienza: il me di adesso e il me ragazzo.
Se penso all’intervallo temporale che separa queste due figure, mi pare che esso non esista.
Certo avverto la lontananza degli anni, ma è più come un obbligo al quale sono dovuto che un pensiero concreto e reale.
In realtà se cerco di concentrarmi per un momento in me stesso ho la netta sensazione che l’io di allora sia lo stesso dell’io di ora e che in questa prosecuzione senza soluzione di continuità della mia coscienza sia racchiuso il segreto del tempo.
Che non esiste.
Se non in me.
Folgorato da questa visione volgo direttamente i miei occhi alla regina sovrana luminosa della notte e ardisco guardarla in faccia.
Essa sorride.
Dalla sua eternità non-eternità.
Eternità perché ella è in cielo da sempre e sempre ci sarà.
Non-eternità perché è la mia mente a costringerla e sdeizzarsi e a diventare un banale astro soggetto alla rotazione del tempo.
E quando non sarò più?
In realtà ci sarò sempre perché io sono sempre stato e sempre ci sarò, esattamente come lei. Solo fuori del tempo.
Che espressione affascinante: fuori del tempo.
Ancorato a questo orpello così bello e inutile ai fini della consistenza dell’Universo, mi sembra di impazzire di gioia.
Così è lì’illusione del tempo che passa. Anche se in realtà nell’infinità nella quale si trova il mio spirito io sono già nato, già morto, ho già vissuto la mia vita e la sto vivendo in eterno, tutto è già dato, tutto è ancora da venire.
Ancorato ovviamente al continuum spazio temporale mi cruccio di non poter spostare a mio piacere il cursore del qui e ora ma so anche che non ne ho bisogno perché io sono già automaticamente nel passato e nel futuro, fuori dall’incredibile programma che scandisce questa piccola operazione biologica che è il mio corpo.
Ma il mio spirito…
È in questo preciso momento che sento esplodermi e metto a fuoco la sensazione che miliardi di esseri umani coscienti come me ha sperimentato, sperimenteranno – fa lo stesso – di vivere, di far parte – cioè di essere – la vita.
Respiro profondamente, godendo di questa espansione cosmica che parte da me e attraversa tutto l’universo che io sto tenendo insieme con i miei pensieri o meglio con il lavoro chimico delle mie cellule: indefesse bruciano sostanze e ne creano altre in un gioco di circoli estendentisi in uno spazio vanificato dall’infinità.
Sirio brilla nel cielo. La stella più luminosa, accanto al mio spirito, come fiammella che ne riscalda i precordi, tanta è la mia grandezza questa sera.
Ecco colta la diversità.
Adesso posso dormire in pace, anche per tutta l’eternità.
Le mie mani intrecciate, senza movimento, si polverizzeranno ma, quando per me non sarà pù necessaria la farsa dello spazio né quella del tempo, allora riandrò all’origine delle origini, quella in cui, con alta visione, come su una montagna a vedere nascere l’Universo, rivedrò le mani del me stesso di ora accanto a quelle me stesso bambino – e non ci sarà più distinzione: prio in quell’istante tutto sarà colto in abbraccio comune che la vita fa con se stessa, amandosi vivacemente, stringendosi in sé e concentrandosi nell’unico punto illimitato di cui può essere fatta la nostra anima.