Terzo racconto dei tarocchi
«Madame, il centro tavola…»
«Quello del conte George» disse risoluta la vecchia.
Il maggiordomo lanciò un’occhiata furtiva al Maestro di Sala. Questi si schiarì la voce: «Madame credo che per l’occasione sia meglio quello della marchesa Mathilda…»
La vecchia si voltò vivamente indispettita: «Che impudente. Discutere il mio desiderio…» mormorò a fior di labbra.
«Con il servizio del Kaiser Wilhelm non si adatta» continuò quegli, mentre il maggiordomo apparentemente impassibile guardava ora l’uno, ora l’altra, in attesa.
La nobildama sbuffò: «E quale si adatterebbe, secondo il vostro parere?»
Per questa volta aveva vinto. Il Maestro di tavola ribadì, calmo: «Penso che quello della marchesa si adatti al meglio.
«Portatelo qua. Voglio vederlo con i piatti» ordinò la donna.
Dopo qualche minuto di attesa due valletti trasportarono un grande bacile d’argento istoriato sormontato da un’aquila e una colomba che sembravano guardarsi in cagnesco.
Lo posarono al centro della tavola dei banchetti.
La vecchia sventolò la mano: «Ci vuole qualche piatto» disse.
Il maggiordomo sparì verso la credenza nascosta nella sala-armadio e tornò con un completo di piatti in stile tedesco, con un emblema reale dipinto in oro. Li posò vicino al centro tavola.
La donna studiò l’accostamento poi si voltò seccata: «Mi dispiace ammetterlo ma temo che abbiate ragione. Ovviamente riempirete il centro tavola di fiori. Iris e lillà con qualche giacinto bianco» disse con un tono che non ammetteva repliche. Il maestro di tavola assentì lievemente.
«E i calici di Severes» disse la donna voltandosi mentre usciva.
«Come vuole, madame» fece il maestro di tavola con un leggero inchino.
«Un altro sciocco fidanzamento di quello sciocco di mio nipote» sbottò la donna quando ebbe chiuso la porta del suo salotto privato. Si lasciò cadere nella poltrona e posò la lorgnette sul tavolino.
«Siamo nel ventesimo secolo, è vero, ma bazzicare quella gente…» fece, disgustata.
Si alzò improvvisamente, si avviò verso il grammofono, scelse un pesante disco, lo pose sul piatto, avviò la carica e posò la puntina nel solco.
Un suono pieno di gracchi si levò dalla tromba sagomata.
La nobildama si sedette sulla poltrona e chiuse gli occhi.
«Berlioz» mormorò alla fine, scotendo il capo.
Stette qualche minuto in profonda riflessione: «Devo trovare una strategia» ripeté due volte a se stessa.
Si alzò nuovamente, inquieta e prese a passeggiare per la stanzetta. Si accostò alla finestra e la spalancò. Il sole di Aprile fece capolino tra le tende. Una fragranza profumata si diffuse tra i mobili.
«In fondo è colpa della primavera. È sempre colpa della primavera» esclamò stizzita. Si fermò sotto l’imponente stemma della casata: un’aquila sovrastante uno scudo con campo azzurro, fascia d’argento centrale e quattro stelle. Nel terzo quarto una mezzaluna rovesciata.
Un lieve bussare la distolse dai suoi pensieri.
«Chi è?» chiese lei, di malagrazia.
Dalla porta si affacciò il maggiordomo: «Vostro nipote» disse.
«È già arrivato?» chiese lei.
«Vi attende nell’atrio»
«Fatelo accomodare da qualche parte. Mi devo preparare» replicò la donna, stanca.
George Wilhelm attendeva da dieci minuti nell’atrio. Era abituato alle bizzarrie della nonna e stava passando in rassegna i vasi di alabastro che torreggiavano su piedistalli in tutti i vani dell’atrio, ossia del salone d’ingresso della villa.
«Siete arrivato presto» si sentì apostrofare. Si voltò. La vecchia era apparsa da una porta laterale, nascosta dietro una tenda.
«Che cosa stavate osservando?» chiese ironicamente «Stavate soppesando il valore della vostra eredità quando io me ne sarò andata?»
«Maman» disse il giovanotto inchinandosi brevemente.
La donna lo squadrò altera e porse la mano che il ragazzo baciò compostamente.
«Accomodatevi» gli disse indicando una poltrona vicino al camino spento.
Il ragazzo si sedette.
La donna stette in silenzio a guardarlo: non si poteva dire brutto quel ragazzo ma neanche bello. Aveva un fisico asciutto, atletico, ma il capo era grosso e le mani grandi.
La vecchia sospirò.
«Che cosa avete fatto di bello in queste ferie pasquali?» chiese.
Il ragazzo sorrise: «Ho fatto un piccolo viaggio»
«E dove di grazia?»
«In un luogo interessante. Si tratta di un paese vicino a Portofino» fece il ragazzo sbirciando l’effetto di quel nome sulla vecchia.
Questa si rabbuiò improvvisamente: «E che cosa ci siete andato a fare?» chiese, aspra.
«A trovare conoscenti» fece quegli tenendosi sul vago.
La nobildama socchiuse gli occhi, sospettosa: «Speravo che spendeste meglio il vostro tempo libero» disse infine.
Il giovane sorrise: «Oh, è stato tempo ben impiegato» disse.
La donna si agitò sulla poltrona e tentò di cambiare discorso: «Come vanno i vostri studi?»
«Non volete sapere chi ho incontrato?» insistette il nipote.
«Non credo mi interessi» fece l’altra, sempre più agitata.
«Dovreste conoscere Punta Caieca. Mi hanno detto che un tempo la frequentavate» continuò l’altro, crudele.
«Che cosa osate insinuare?» chiese la donna ingrossando la voce.
George Wilhelm godeva nel vedere la sua ava così agitata.
«Nulla» fece conciliante, ma qualche servitore che era là a quei tempi c’è ancora, nella villa» disse.
«Pettegolezzi di servitù» fece la vecchia con disprezzo.
«Può darsi» replicò il ragazzo.
«Che cosa volete ottenere con queste chiacchiere?» chiese a bruciapelo la dama avvicinandosi al giovane e guardandolo duramente.
«Accoglienza per lei» rispose lui «E maggiore tolleranza nei confronti della sua famiglia» aggiunse «Non voglio insofferenza al banchetto»
La vecchia rise: «Che cosa temete? Conosco le regole della buona educazione» disse, secca.
«A volte non bastano. Maman, non è possibile per voi ascoltare un poco il vostro cuore? E manifestare, ogni tanto qualche sentimento?» disse, intenerendosi quasi.
La donna lo guardò con una smorfia: «Il mio cuore è stato serrato da questa chiave, anni e anni orsono» rispose la vecchia tirando fuori dal seno una catenella con appesa una minuscola chiavetta dorata.
«Che cosa intendete dire?» chiese sospettoso il giovane.
«Venite» fece quella per tutta risposta e si avviò verso la porta nascosta dal pesante tendaggio del salone.
Il giovane la seguì per un dedalo di corridoi spogli, segnati ad altezza mani dai frequenti passaggi della servitù.
«Non mi avete mai condotto in questi luoghi» disse mentre percorrevano una galleria assai stretta.
«In essi c’è l’anima del palazzo» mormorò la nobildama senza accennare a fermarsi.
Finalmente giunsero in un corridoio chiuso da una porta più piccola delle altre.
«Che cosa c’è qui?» chiese il giovane.
La donna si voltò e accostò il suo viso a quello del nipote: «Non molte persone hanno avuto il privilegio di stare in questo posto. Qui sono custoditi i segreti più privati della nostra famiglia.. E quindi anche i miei. Tacete, ascoltate e osservate bene, perché almeno fino alla mia morte qui non ci verrete più un’altra volta»
La vecchia trasse dalla tasca una chiave, la infilò nella toppa e la girò facendo scattare la serratura.
Aprì la porta ed entrò risolutamente.
Il giovane la seguì, curioso.
Si trovarono in una stanza circolare, ricoperta di cassettiere per tutte le pareti fino al soffitto.
La donna prese una scala con ruote e la trascinò a un piccolo balconcino che sporgeva per tutta la lunghezza del circolo a metà altezza. Salì a fatica e andò fino a un cassetto. Prese la chiavetta dorata e lo aprì. Ne trasse una scatola di legno. Poi scesa la scala e si accostò a un tavolo pieno di polvere. Posò la scatola, vi pose le mani sopra e guardò il ragazzo.
«Dunque?» fece quegli.
La nobildama la aprì: il coperchio oscurava il contenuto al ragazzo che si sporse per vedere.
Lei prese un pacco di carte legato con un nastro.
«Che cosa sono?» chiese il ragazzo.
«Fotografie» rispose la donna «Potrà sembrarti strano ma sono stata giovane anch’io»
Il ragazzo osservò la nonna slegare il nastro, passare in rassegna le immagini ingiallite. Poi ne prese una e gliela porse.
Il nipote la prese: era la foto di un ragazzo e di una ragazza su una spiaggia con un costume da bagno visibilmente d’altri tempi.
«Questa siete voi?» chiese il ragazzo.
«Avevo circa la vostra età» disse lei, senza accento.
«E il vostro accompagnatore?» chiese il ragazzo.
La donna si terse brevemente gli occhi: «Perché vi ho portato qui?» mormorò a se stessa.
Poi si ricompose: «Questo che vedete è stato, credo, l’unico grande amore della mia vita»
«Non mi pare il nonno» osservò il ragazzo.
«Non lo era»
Il ragazzo guardò la donna dubbioso: «Che cosa volete dire? Che avete tradito il nonno, vostro marito?»
La donna rise nervosamente: «Questa è una evenienza che non si contempla nel mio sistema di valori, nipote. No. Vostro nonno non è mai stato tradito»
«Se voi avete amato qualcun altro, lo avete di fatto tradito anche se non avete fornicato con lui»
«Credete?» disse la donna «Vi devo spiegare un paio di cose. Quando voi appartenente a una famiglia come la nostra, tutto ciò che riguarda i vostri sentimenti diventa un evento pubblico. Non c’è spazio per il vostro sentire privato»
«Un tempo forse. Ma le cose cambiano, maman» sbottò il giovane posando la fotografia sul tavolo «Che fine ha fatto questo ragazzo?»
«Era una persona intelligente e raffinata. Adoravo ascoltarlo parlare. E suonare. Era un musicista d’arpa» disse la donna chiudendo gli occhi.
«Un plebeo dunque» insinuò ironico il ragazzo.
«Un animo molto più nobile di molti figli di grandi famiglie»
«Ma irraggiungibile per voi, o sbaglio?» chiese George Wilhelm.
La donna si erse, altera: «Ho rinunciato a lui per sposare vostro nonno. Era quel che dovevo fare. Questo è l’unico ricordo che ho di lui. Nessuno, a parte voi l’ha mai vista questa fotografia»
Il ragazzo fronteggiò l’ava con lo sguardo: «Che cosa volete dimostrare narrandomi questa vicenda?»
Il sorriso della donna divenne quasi beffardo: «Le vostre pretese così… democratiche sono fuori luogo con me. Ogni democrazia è morta con lui» e accennò al ragazzo della fotografia. «Perché dovrei permettervi di godere la vostra plebea e di essere felice quando a me tutto, tutto è stato negato?» sibilò.
«Ve l’ho già detto: perché i tempi sono cambiati» proruppe furioso George Wilhelm.
«Non quel tanto da impedire una vostra incosciente levata di cresta»
La donna ripose la fotografia nel mucchio delle carte, lo riannodò e lo rimise nella scatola.
Si appoggiò al tavolo, chiuse gli occhi poi volgendosi stancamente al nipote disse: «È vero i tempi stanno cambiando. Ma quel che non cambierà è lo spirito dell’ambiente in cui siete cresciuto. Voi siete giovane e forse non ne avete coscienza. In questo io ero assai più perspicace di voi. Io l’avevo già capito allora».
Il ragazzo la guardò sospettoso: «Che cosa avevate capito?»
«Noi siamo dominatori, George. Un abisso ci separa dalla gente comune»
«Storie» fece infastidito il ragazzo.
«Quando vi presenterete in qualsiasi ambiente il vostro nome vi precederà. Il mio suonatore d’arpa ha dovuto strapparsi l’anima per sfondare nella musica e non c’è riuscito. Era delizioso e dotato. Un gran musicista» sospirò.
«Avreste potuto aiutarlo. Un vostro biglietto di presentazione lo avrebbe certamente favorito» replicò il ragazzo.
La donna lo guardò ironica: «E avrebbe dato adito a una quantità di dicerie. Non non lo aiutai dopo averlo dovuto lasciare. Ho sempre fatto il mio dovere con serietà»
«E vi siete probabilmente rovinata la vita. Per questo siete diventata così acida» disse strafottente il giovane.
La donna lo guardò con commiserazione: «Acida?» e diede in una risatina stridula «Si diventa acidi quando si coltiva il risentimento per ciò che non s’è potuto fare»
«Appunto» ribatté il giovane.
«Ma io non sono risentita. In gioventù non si è consapevoli, proprio come voi. In realtà io sono contenta di non aver potuto continuare quella relazione. Come mi vedrei ora, dopo aver dovuto seguire di paese in paese un musicista vagabondo alla ricerca di una piccola gloria insulsa? Qui, in questo palazzo ho appagato completamente la mia volontà di primato. E lo sono stata una prima donna, nipote. Molto più più che alla sequela di un bene così effimero come l’arte. Che cosa potrei aver desiderato di più?»
Il ragazzo la guardò stralunato: «Me lo diceva mio padre, vostro figlio, che voi avete un pezzo di ghiaccio nel vostro cuore. E forse lui è morto di crepacuore proprio per questo».
«Vostro padre? Un debole» disse quella con disprezzo.
«Era vostro figlio»
«Solo biologicamente» ribatté quella chiudendo di scatto la scatola. Risalì sulla scala e depose la scatola nel cassetto. Dopo averlo chiuso a chiave discese e rimise la scala al suo posto.
«Comunque nella costruzione della vostra immagine di donna tutta d’un pezzo, di regina della famiglia c’è una smagliatura» insinuò George.
«Quale, sentiamo?» disse lei beffarda mentre usciva dalla stanzina.
«Voi avete voluto la festa del mio fidanzamento» disse trionfante il ragazzo.
«Questione di opportunità»
«Non credo. E poi c’è la questione della villa di Portofino» disse ancora il ragazzo.
«Oh, quella… un brevissimo sbandamento»
«Che però rivela una vostra debolezza di fondo»
«Quanto vi sbagliate, ragazzo» disse lei «E quanto dimostrate di non capirmi. Ma credevate davvero di potermi ‘ricattare’ in merito a quella ragazza e alla sua famiglia rivangando questa vecchia storia – che peraltro conoscono tutti»
Il ragazzo la guardò disorientato: «Come sarebbe a dire?»
«Vedremo se la vostra… amante… reggerà alla situazione»
«Comincio a capire… volete umiliarla» mormorò il ragazzo turbato.
«È una prova vera. Potrebbe anche superarla» disse quella incamminandosi per i corridoi «In fondo a ognuno occorre sempre dare una possibilità»
«E se non la supera?» fece George pallido.
«Ne trarrete le conseguenze. Come in ogni supremazia che si rispetti» e tirò via attraverso gli anditi del palazzo senza più dire una sola parola.