«A che cosa pensate colonnello?» chiede la badante con il suo accento così slavo.
Il vecchio seduto sulla poltrona si volta e la guarda con un sorriso vano.
«Su, me lo potite dire» continua lei mentre sfaccenda alla cucina.
Lo sguardo dell’uomo si perde: sembra seguire qualcuno o qualcosa in lontananza. A tratti qualche contrazione lo fa sorridere ma il movimento non è volontario perché immediatamente dopo le labbra tremano e si chiudono al lato della bocca in una smorfia che si distende non appena cessa l’impulso del suo malandato sistema nervoso.
La donna gli si para davanti: «Sapite a che cosa vi sto preparando?»
Il colonnello fa cenno di no con il capo.
«Dovite parlarmi, così dice la vostra figlia» fa lei prendendogli la mano ossuta.
Il colonnello biascica un “no” incerto.
La donna gli sorride e gli dà uno scappellotto sul viso, poi vola di nuovo via al fornello.
«Oggi vi mangite una minestra di pollo e un pezzetto di carne. E un patata»
La notizia lo lascia indifferente adesso che gli occhi stanno di nuovo seguendo qualche fantasima mobile nella stanza: sembra non voler stare ferma.
Poi improvvisamente il colonnello chiude le palpebre, come volesse concentrarsi per evocare qualcosa che da qualche parte gli sbuca in mente.
Di ricordi ne ha tanti, lui.
A dispetto di quella scema di donna che si crede tanto furba e lo tratta come un bambino.
Avesse lei un terzo dei suoi ricordi…
L’unico serbatoio che gli resta per sprofondare ancora un poco nella vita, ora che pian piano si sente sottrarre quell’empito che lo sempre animato in tutte le cose che ha vissuto.
Come se ogni cosa si stesse concentrando nella memoria. Certo, una mente alquanto lasca, senza più le regole della coscienza ferrea in grado di distinguere il vero dal falso, i sogni dalle esperienze, le visioni dalla realtà.
E così tutto si mescola, come se la coscienza, in lui così debole eppure così vitale, si rinfocolasse tuffandosi dentro un vortice che turbina, turbina attorno al respiro mantenuto per un soffio, al battito cardiaco così discontinuo… ma lui non vuole pensare a questo adesso, è pronto all’immersione, vuole ripescare qualcosa nelle profondità di una miniera che sta appena scoprendo, piena di inestimabili tesori in grado di portarlo verso una vita ‘altra’ così ricca, così intensa da far impallidire quella fisica che muove succhi gastrici e altri liquidi (o liquami?) non meglio identificati attraverso pareti incartapecorite e squamose.
Ecco, di nuovo lì si va a parare.
La discesa comincia alla ricerca di un filo che si trova nella mano sinistra. Una discesa in città nella sua automobile. È tutto verde intorno, siamo in estate, un’estate incipiente, a giudicare dai fiori di sambuco che costellano la via.
La via si snoda in mezzo ai boschi, come sempre, come il percorso che ha fatto migliaia di volte per giungere alla caserma, prima di sbucare in città dopo la discesa.
Eppure non è la strada il fine di quegli sprazzi: il filo si distende ancora verso l’imo, come quello della caverna di Nemo, quando, Colui che Non Può Essere Nominato, decide di rivelarsi ai naufraghi.
Il colonnello lo segue paziente, scendendo sempre più. Adesso è in un bosco, con un corpo molto più giovane. Sente scoppiarsi l’energia attraverso tutti i pori di una pelle fresca e pulita. Lo capisce bene dopo aver confrontato la stanchezza dei suoi ultimi anni con quella normale frenesia che si sentiva scorrere nelle vene tanto, tanto tempo prima.
Sente delle voci ovattate intorno a sé, ossidate dagli anni, come cicale incapsulate che stentano a emettere il loro stridio ed ecco un altro bosco nel quale con un passo d’atleta percorre una forra e poi, arrivato nel luogo più fondo, alla confluenza di due ruscelli si scopre a bearsi dell’aria fresca delle fronde. È così lontano questo ricordo, appena adolescente. Anche qui c’è qualche voce, forse amici perduti nelle nebbie del passato, quegli ‘amici del cuore’ di cui gli sembrava di non poter fare a meno. E avverte anche qualcosa nell’aria, in quell’aria…. Qualcosa che vuole venire a galla, che non osa manifestarsi…
Il colonnello viene scosso da una piccola scarica elettrica che gli fa contrarre le gambe.
«Avete qualcosa?» gli chiede la badante scrutando l’espressione chiusa in se stessa dell’uomo, quasi sofferente.
Questa volta prende lui l’iniziativa e mormora: «No, no…»
La donna tranquillizzata torna alla preparazione della tavola.
Ma il vecchio è insoddisfatto. Cerca qualcosa dentro quel nuovo passaggio che si è aperto dentro di lui. E ritorna a percorrere quel ritano che intanto si trasforma ancora e diventa pian piano un luogo sicuramente già visto, anche se non riesce darne una collocazione spaziale precisa.
Poi d’un tratto il velo si squarcia in forma di un aroma: sì, è lui, è proprio lui.
I suoi occhi si riempiono di lacrime e finalmente il fondo è toccato.
Adesso sa dove portava quel filo. E sa quale catalizzatore lo ha scavato nella sua memoria portandolo alla luce come un vecchio sapiente minatore che fiuta il filone e lo scova in mezzo all’intrico delle gallerie e degli strati di roccia.
Ed eccolo lì, il ragazzo di tredici anni, nel bosco sacro. Intento alla sua particolare e personale epifania. Seduto in mezzo a una radura ombrosa di aglietto, vellicato dal suo profumo forte e volitivo, trasportato da una brezza maggiolina che si intrica tra le chiazze di sole dei rami e permea, effonde tutto attorno la coscienza d’essere.
Un pomeriggio tardo, come tanti… “no è unico”, pensa il colonnello rievocando, senza poter usare le parole, la soggezione di quell’istante.
Sorride adesso il vecchio.
Rafforzato nel suo incedere verso il sole.
Che nessuno gli può più sottrarre.
Nemmeno la sua allarmata badante.