a Stefano Michieli
«Prendi quell’asse» disse Pamela.
Stiv la guardò dubbioso: «Quale?» chiese.
«Quello là sotto»
Il ragazzo frugò nel mucchio di scarti di legname accumulato sotto l’albero finché non liberò un travicello lungo e sottile. Lo saggiò e vide che era elastico e robusto. Guardò in alto e vide il sorriso di Pamela.
Prese la corda che lei aveva fatto scendere e lo legò.
Lei tirò finché l’assicella non fu all’altezza della piattaforma ormai quasi terminata.
Un folata di vento si alzò in quel momento e fece oscillare la corda con il suo peso attaccato.
«Fai attenzione» urlò lui dabbasso.
«Non sono mica scema» rispose lei e riuscì farlo atterrare sul piancito, sfruttando l’oscillazione della fune.
La carrucola cigolò nuovamente mentre la corda scendeva.
«Ne serve ancora uno» disse lei.
«Quale devo prendere?» Stiv alzò il capo e cercò di guardare in verticale, verso la chioma gigantesca dell’albero che avrebbe accolto la casa.
La loro casa.
Pamela squadrò il mucchio di legname e poi scosse il capo.
«Cominciamo a mettere i listelli più grossi. Sta diventando tardi»
Stiv alzò le spalle e saltellò fino alla scala a pioli. Si arrampicò in fretta e in pochi secondi fu su.
Si sedette appoggiandosi al tronco che spuntava attraverso la piattaforma irregolare sui rami.
«Perché ti siedi?» gli chiese Pamela.
«Così»
Un’altra folata di vento fece stridere il pioppo tremulo che si alzava proprio davanti alla grande quercia.
«Se viene il vento?» chiese Stiv d’improvviso mentre lei sceglieva i travicelli più grossi.
Pamela si strinse nelle spalle: «Li fisseremo bene. Le foglie fermano il vento. Qui, in mezzo a tutti questi rami, saremo al sicuro»
«Se viene un uragano potrebbe farci volare via la casa» obiettò Stiv.
Pamela si fermò a guardarlo corrucciata: «Ohé, porti sfiga?»
«Non si sa mai. Può sempre venire una tromba d’aria»
«Se viene una tromba d’aria andremo da qualche altra parte» disse lei e porse un listello a Stiv che si alzò. «Ecco, così va bene: tieni fermo. I primi da mettere per fare i muri sono i più difficili. Poi piantiamo i chiodi, così diventa più resistente»
Stiv resse il listello mentre Pamela lo legava a un ramo. Poi ne fissò un altro in verticale adattandolo a un buco del pavimento e lo legò a quello orizzontale. Fece così per altri quattro e alla fine c’era un’incastellatura di travi che poteva assomigliare allo scheletro di una minuscola casa.
«Mi piace» disse Stiv «Qui ci mettiamo la porta e su queste due pareti le finestre»
La luce del sole che stava scendendo basso all’orizzonte illuminava di taglio la superficie delle foglie, rendendole brillanti in controluce.
Stiv d’un tratto si voltò verso un punto della chioma dell’albero da cui trasluceva una girandola di raggi luminosi in movimento per l’oscillare dei rami.
Si riparò gli occhi con una mano sulla fronte. Strizzò le palpebre e provò ad aprire e chiudere le dita davanti alle pupille per saggiarne la resistenza davanti a tutto quello sfolgorìo di luce. Poi si voltò verso Pamela: «È fantastico. Da qui il sole fa una luce diversa»
«È perché sta tramontando» disse lei intenta a tirare corde e allacciare nodi.
«Forse dovremmo andare» disse Stiv sempre disegnando con le mani e le dita ombre e fessure davanti alla faccia.
Pamela si avvicinò: «Che cosa fai?»
«Prova anche tu» disse Stiv ridendo. La ragazza si volse verso l’arancione scintillante di quel tramonto. Stiv le si accostò da dietro e le mise le sue mani davanti agli occhi, chiudendo e aprendo le dita, come a disegnare ombre fantastiche davanti alle guance dell’amica.
Si sedettero con le gambe a penzoloni sulla piattaforma su cui sorgeva lo scheletro della casa.
Si guardarono un po’ in silenzio.
Una nuova folata di vento fece frusciare la chioma della grande quercia.
Stiv sospirò.
«Perché sospiri?» le chiese Pamela.
Stiv allargò le braccia: «Ho i polmoni troppo pieni» disse d’un tratto ridendo.
«Eh?» fece lei.
«Scherzo. Non ho voglia di andar via. Si sta troppo bene in questo posto»
Si distese sulla piattaforma e cominciò a guardare il cielo che imbruniva tra le foglie.
Poi si girò verso Pamela: «Quando avremo finito la casa verremo ad abitare qui? Ci divertiremo un sacco»
«Potremmo farlo. Ma come faremo a mangiare?» gli domandò.
«Ce lo porteranno gli scoiattoli. Li ammaestreremo» disse Stiv convinto.
Una folata più decisa scosse i rami dell’albero che fecero scricchiolare la piattaforma con la traballante incastellatura.
«È l’aria della sera. Di sera l’aria è sempre più forte» osservò Stiv.
«Devo tornare a casa. È tardi» disse Pamela alzandosi di scatto.
«Ancora un minuto» mormorò Stiv, sempre disteso: «Guarda quella nuvola… è bella…»
Pamela guardò la nuvola con gli orli rossi che veleggiava tranquilla nel cielo sempre più profondo.
«Sì, questa sarà la nostra casa» sussurrò piano a Stiv mentre avvicinava il suo volto a quello dell’amico.
Poi gli accarezzò la guancia con le sue minuscole mani dalle dita sottili.
Stiv chiuse gli occhi e sorrise a quel nuovo gioco: così, pienamente soddisfatto, per quel tocco delicato nel giorno che si chiudeva, immerso nei colori del più trionfante tramonto che il grande albero avesse mai potuto vedere nella sua lunga esistenza.