I
«Signora?» chiede l’impiegato alla scrivania con aria annoiata.
«Vistarini. Erminia Vistarini» fa lei sussiegosa. L’altro alza gli occhi dal computer dove ha appena segnato il nome e la guarda, assente.
«Nata a…» prosegue.
«Olmezzo, in provincia di Trento» risponde lei.
«Olmezzo… va bene. Quando, signora?»
«26 Ottobre 1968» risponde lei arrossendo leggermente, come se pronunciar quella data le costasse qualcosa, uno scoprirsi inopportuno.
L’impiegato la guarda nuovamente e mormora: «Complimenti» rituffandosi sulla tastiera.
Lei si schermisce imbarazzata, ma in sé è contenta di quell’apprezzamento. Mentre l’impiegato continua a ticchettare sui tasti lei si stropiccia nervosamente le dita della sinistra.
«E per il lavoro…» accenna a chiedere.
«Deve firmare qui per permettermi di scattarle una foto. Il principale ha bisogno di qualcuno di rappresentanza e possibilmente oltre alla bravura, un aspetto garbato e composto non disturberebbe certo… posso farle uno scatto?» chiede quello.
«Se serve per avere il lavoro… dove mi devo mettere?» dice lei.
«Oh, facciamo in frettissima… è tutto digitale. Guardi verso di me… sorrida… ecco fatto»
La signora Vistarini non ha neanche avuto il tempo di mettersi in posa ed è sui carboni ardenti. Chissà com’è venuta quella foto. Lei non brilla certo per essere un’attraente, fotogenica modella. Però il suo lavoro… giusto cielo, quello sì che lo sa fare bene. Anche in modo da dare la polvere a qualche giovincella pivella montata che crede di saper fare tutto lei e invece sa solo combinare casini.
E in vent’anni di lavoro lei di casini ne ha risolti molti e combinati pochissimi.
«Devo presentarvi delle referenze?» chiede.
L’impiegato la guarda allunato, come se stesse dicendo una gran castroneria: «No, no… basta che ci dia i suoi contatti social»
La Vistarini ci rimane male. Lei, che non aveva mai voluto sentir parlare di Fiesbuk, Stragram e tutte quelle robe lì… porcherie che distraggono dal lavoro, altro che cavoli: «Contatti social?» chiede scandendo quelle parole come se fossero una bestemmia.
«In genere controlliamo le referenze dei nostri… ‘postulanti’ sui loro profili social. Ci dicono molte più cose di quante possiamo ricavare da una lettera di referenza. Ma se lei non ha profili social…»
L’impiegato la guarda divertito, come se la bestemmia fosse il fatto di non avere uno straccio di profilo su Internet. Essere nessuno insomma. Dove vai senza una dannata identità digitale?
«In verità stavo proprio contando in questi giorni di aprire un profilo su qualcuna di quelle robe lì…» dice lei balbettando leggermente. Il ragazzo alza gli occhi al cielo: «Almeno un computer lo sa usare? Dovrà sbrigare parecchie pratiche di ufficio…» dice pazientemente.
«Il computer sì… certo. Lo uso bene. So anche mandare una mail» fa lei orgogliosamente.
«Bene…. Uso scolastico del computer» fa mentre digita vertiginosamente qualcosa sulla tastiera.
Scorre la videata, cecca ancora qualche flag e poi dice: «Perfetto signora. La ringraziamo di aver risposto alla nostra richiesta, le faremo sapere qualcosa»
Lei lo guarda smarrita: «Si può immaginare quando potrebbe essere… sa, se dovessi trovare un altro lavoro vorrei sapere come comportarmi…» dice esitando.
«Presto signora, molto presto, se l’esito del primo esame sarà positivo» poi, considerando chiuso il colloquio, preme un bottone e subito alla porta si affaccia un’altra signora più o meno dell’età di Erminia.
Lei sospira, raccoglie la borsa che aveva lasciato sul tavolino all’entrata e se ne va con il morale sotto le scarpe: un altro colloquio andato male. ‘Tutto per ‘sta faccenda dei computer, ‘sti maledetti computer’ pensa mentre scende la scalinata di marmo tirata a lucido.
‘Certo, sarebbe stato bello lavorare qua’ rumina fra sé e sé lanciando un’ultima occhiata all’atrio di lusso pieno di boiserie e di enormi piante da appartamento tenute magnificamente.
Poi si presenta alla porta a vetri a scorrimento, riconsegna un badge provvisorio che le hanno dato e finalmente esce, scomparendo tra la folla della città.
II
Il telefono squilla.
Erminia posa il ferro da stiro sull’asse, in piedi per non bruciarlo e si precipita in salotto.
«Pronto?» chiede trepidante.
«Signora… Vistarini? Erminia Vistarini?» ribatte una voce esitando leggermente sul cognome.
«Sono io» risponde lei.
«Sono dello Studio Associato Mirati & Fantini. Lei qualche giorno fa ha sostenuto un colloquio per il lavoro presso di noi vero?» fa la voce all’altro capo, senza un’intonazione precisa.
«Sì» dice lei.
«Il dottor Mirati e il Presidente Fantini vorrebbero conoscerla personalmente prima di affidarle il lavoro. Come può immaginare è una cosa delicata e vorrebbero essere certi che…»
«Logico certo, logico. Sono a vostra disposizione» dice lei emozionata.
«Potrebbe essere da noi domattina alle dieci?» chiede la voce.
«Ci sarò, non dubiti» fa lei, già perduta nella realizzazione di un’illusione cui non avrebbe mai osato neppure aspirare.
‘Incredibile, incredibile’ pensa quando la comunicazione si chiude ‘ Vogliono conoscermi. Calma Erminia, Non è detto che ti prendano, però è già un bel passo avanti, mia cara’ e così pensando non sa bene che cosa fare. Apre dei cassetti e mette nervosamente in ordine il loro contenuto, toglie tutto quel che c’è sul tavolo della cucina come se di lì a poco potessero presentarsi i dottori e i presidenti nominati prima dalla voce del telefono… sì proprio loro, a casa sua, per farle un esame, vedere dove vive, sapere qualcosa in più di lei.
‘Tutto dev’essere in ordine’ dice affannandosi e riandando con il pensiero sempre a quell’idea fissa. ‘L’ordine esteriore è segno dell’ordine interiore. Se la casa è in ordine vuol dire che anche la mente è in ordine. E io devo essere tremendamente ordinata domattina’ rimugina mentre strofina i pavimenti e tutte le superfici fino a farle diventare uno splendore di sberluccicanza.
A mezzanotte si ferma con la schiena rotta ma soddisfatta: con una casa così splendente, chissà come potrà essere splendente lei, l’indomani per sostenere quel tremendo esame davanti ai dottoroni e ai presidenti.
E si addormenta subito, senza avere nemmeno il tempo di fermarsi a pensare a quel che avrebbe dovuto dire quando si fosse trovata in presenza di tante eminenze piene di cervello e di grana.
III
La sala d’attesa nobile, cioè quella davanti agli uffici dei due capi, è tutto un odorare di legno e cuoio, un trasudare di lusso. Un vaso d’ottone contiene un ciuffo di palme alto fino al soffitto, proprio accanto a uno scaffale di legno massiccio, intagliato, che contiene libri spessi e dai titoli astrusi. E poi tappeti e una scrivania a cui sta seduta una donna altera, bionda, con i capelli raccolti in un’elaborata, frugale ma elegante acconciatura. Veste un tailleur ricercato ed è continuamente al telefono. L’Erminia è lì, nervosa, smarrita, seduta, anzi sprofondata in un’enorme poltronona chester di cuoio amaranto tassellato con bottoncini. Sono le dieci e trenta e da mezz’ora guarda affascinata e un po’ spaventata il via vai di persone che entrano ed escono da due porte massicce che non sbattono mai: quando si chiudono fanno fluff! E lasciano intravvedere uffici ricavati da locali antichi, splendenti di dorature.
D’un tratto trilla un dittafono sulla scrivania e la donna bionda assente brevemente, poi si rivolge a lei con un sorriso rapace, pieno di denti su labbra carminio: «Signora Vistarini? Può accomodarsi» e indica una delle due porte.
Lei ringrazia, si alza e si accosta. Bussa brevemente, da dietro una voce roca dice: «Avanti, avanti»
L’ufficio è una stanza splendida piena di stucchi che si perde in un soffitto di legno istoriato e dorato. Affreschi, tende, mobili di pregio. Un tavolo da riunione in un angolo e due individui seduti su un lato.
«Mirati» fa uno asciutto alzandosi, «Fantini» fa l’altro porgendole la mano «E lei è la dottoressa…»
«No, non dottoressa… sono la signora Vistarini e basta» replica modesta la donna. I due la invitano a sedersi. Mirati, un individuo basso e grassoccio con un pizzo grigio e il cranio quasi completamente calvo scorre alcuni fogli in una cartellina.
«Signora Erminia, giusto? Abbiamo letto il suo curriculum e ci è parso interessante. Come segretaria ha accumulato una bella esperienza vero? E come mai ora si trova senza lavoro?» chiede chiudendo la cartellina.
«La ditta in cui ero impiegata ha chiuso… fallimento. Il dottor Scurati era molto dispiaciuto ma sono stati costretti a licenziarmi»
«Scurati?» interviene Fantini «Lucio Scurati?»
«Sì, Lucio Scurati. Lo conoscete?» chiede Erminia.
«Perbacco se lo conosciamo. Quel farabutto ci deve un sacco di soldi per la causa di fallimento…» dice ridacchiando Mirati.
«Non entro nel merito ma…» inizia Vistarini.
«Meglio non entrare nel merito, ha ragione» la interrompe Fantini. Poi guarda Mirati e questi fa un lieve cenno d’assenso: «Risulta, da quanto ha scritto, che lei frequenta un gruppo di teatro…»
Erminia sorride: «Sì, nel tempo libero… siamo un gruppo di attori dilettanti… mettiamo su uno spettacolo ogni tanto… ci divertiamo così, il nostro pubblico è fatto di amici, di conoscenti…»
«Perfetto, perfetto. Proprio quello che ci serve, qualcuno che abbia esperienza di recitazione…» allude Fantini.
«C’entrerebbe con il mio lavoro?» chiede Erminia, sospettosa.
«Non proprio, ma in qualche modo… Vede, signora, noi abbiamo bisogno di una segretaria per il nostro, diciamo, ufficio speciale» fa Mirati.
«Si rassicuri… niente di illegale. L’ufficio di cui le parliamo è una sede distaccata del nostro studio che fa capo a una Fondazione. Una Fondazione principalmente a scopo di beneficenza che però svolge anche altri lavoretti particolari» Fantini sorride compiaciuto.
«Con la Fondazione trattiamo alcuni casi complessi per i quali è meglio che lo studio non venga coinvolto apertamente. Casi anche molto riservati» sussurra Mirati.
«Per questo abbiamo bisogno di una persona competente, di poche parole, sicura dal punto di vista dell’affidabilità… non vogliamo contatti con giornalisti e altri ficcanasi del genere: ha compreso?» dice Fantini con un tono vagamente minaccioso.
«In cambio lei avrà uno stipendio che crediamo sinceramente non avrà mai visto in vita sua» lascia andare Mirati.
«Certamente non con quello squalo di Scurati» sottolinea corrosivo Fantini.
«E un carico di lavoro certamente non stressante. Sarà anche libera di gestirsi tempo e orari come crede, fatto salvo il fatto che dovrà essere presente regolarmente almeno venticinque ore nella settimana più le volte che le indicheremo noi. In quei casi la sua presenza sarà obbligata e non potrà accampare scuse, qualsiasi sia l’orario» Mirati la scruta per valutare l’effetto che le sue parole hanno avuto su di lei.
Erminia è disorientata. L’offerta è allettante ma un sesto senso maturato durante tutti quegli anni di ufficio la mette in guardia: che cosa mai vogliono da lei quei due marpioni? Un ufficio speciale? Eh sì, niente di illegale. Questo è quello che dicono loro. Sulla difensiva, domanda: «E lo stipendio quanto sarebbe?»
Mirati e Fantini si guardano appena, poi Fantini dice: «Tremila cinquecento al mese. Netti. Più alcuni bonus: per esempio abiti adatti al lavoro… le indicheremo noi dove andare e se ne farà fare cinque o sei… dovrà curare un po’ di più il suo aspetto. Siamo convenzionati con una azienda molto buona, specialista nel wellness, dovrà andarci una volta alla settimana. Ovviamente a nostre spese. Le pare un’offerta vantaggiosa?»
Erminia boccheggia. Neanche nelle sue più rosee previsioni o illusioni mai aveva sognato di guadagnare tanto. Ma non riesce ancora a fidarsi: «E il lavoro, di preciso in che cosa consisterebbe?»
Mirati e Fantini si guardano, seccati: «Guardi signora, possiamo arrivare fino a quattromila ma non di più»
Erminia si sente punta sul vivo: «Signori, voglio sapere in che cosa consiste il lavoro. Non voglio rilanciare…» dice quasi offesa.
«Un lavoro di segreteria… tenere un’agenda di appuntamenti, mandare lettere, mail, tenere contatti, Fare qualche telefonata per nostro conto. Ricevere persone, fare comunicazioni, sollecitare documenti…. Tutto quello che farebbe una segretaria di alto livello» replica Fantini.
Erminia lo guarda dubbioso: «Non capisco il motivo di una cifra così alta per incombenze così normali. Mi scuserete, ma vorrei saperne di più….» replica.
Mirati sbotta a ridere: «Vedi, Lorenzo» fa a Fantini «Te l’avevo detto. Lei è la persona giusta» poi rivolgendosi a Erminia: «Signora ci sono due motivi. Il primo è che le carte che passeranno tra le sue mani saranno molto delicate e riservate e abbiamo bisogno di una sua assoluta discrezione. Un buono stipendio, di solito ci permette di raggiungere senza problemi lo scopo. Il secondo è che avremo bisogno di lei per svolgere alcuni delicati compiti che preciseremo via via che si presenteranno. Di più non le possiamo dire. Accetta?» chiude reciso.
Erminia ci pensa un po’, poi sospira e dice: «Va bene, quando devo prendere servizio?»
«Guardi, lei è assunta da adesso. Le daremo una settimana di libertà per organizzarsi, procurarsi gli abiti richiesti, mettersi un po’ a posto… diciamo martedì prossimo?»
Erminia accenna sì con il capo: «Va benissimo. E dovrò lavorare qui?»
«No, come le abbiamo detto prima sarà collocata in un ufficio distaccato. Saremo sempre in contatto e il Venerdì di ogni settimana le indicheremo i momenti nei quali desideriamo che lei sia presente. Avrà un orario piuttosto flessibile, a seconda delle esigenze. Per il resto lei potrà andare in ufficio oppure, se preferisce, potrà svolgere comodamente il lavoro anche da casa»
«E mi darete quattromila euro per tutto questo?» rimarca la donna, ancora incredula.
«Se saremo soddisfatti potremmo anche aumentare… diciamo che per cominciare potranno bastare» interviene Mirati.
IV
Il percorso che ella fece – a piedi – dalla sede del mirabile studio Fantini & Mirati fu pieno di dubbi e di angosce. No che non si fidava di quei due. La sua filosofia e la sua esperienza dimostravano che nessuno dà niente per niente, e se le offrivano per quel lavoro tutti quei soldi o il lavoro era una faccenda sporca o quei due avevano in mente qualcosa. Oppure erano semplicemente due sprovveduti, ma chi si può permettere un ufficio così, difficilmente è un ingenuo.
‘D’altra parte, provare non costa nulla e se vedo che non va posso sempre licenziarmi. Intanto metto da parte qualcosa…’.
Così tranquillizzata tirò fuori il foglietto che le avevano dato quando era stata congedata.
Conteneva l’indirizzo di diversi negozi nei quali era stata invitata d andare. Il primo era un salone d’acconciatura di quelli di lusso, dove lei non aveva mai osato sperare di poter entrare.
Non appena oltrepassò la soglia una signora premurosa le si avvicinò: quando nominò il duo mancò poco che quella si inchinasse fino a terra. La portò da un tizio con un grembiale dall’aria molto distinta. Questi la squadrò per dritto e per traverso scuotendo il capo. Poi disse: «Signora, lei ha bisogno di una risistemata quanto ad acconciatura. Mi permetta di farle qualche proposta e si ingolfò in una trattativa serrata che sfociò, quando tutto fu finito in una mise che la rendeva molto raffinata e professionale. Quando si guardò allo specchio non credeva ai suoi occhi: ma quella era la stessa Erminia Vistarini che era entrata lì dentro? Se ne uscì senza pagare sentendosi leggermente in colpa, ma il maitre della casa le aveva spiegato che ci avrebbe pensato lo studio e che lei non doveva assolutamente preoccuparsi, anzi, che contava di vederla lì ogni settimana, secondo le indicazioni ricevute.
Ancora frastornata la donna decise di provare un’altra tappa e andò in un negozio di lusso del centro dove le fecero provare una montagna di abiti. Ne scelse sette, uno per ogni giorno della settimana e anche lì se ne andò via senza scucire un solo centesimo, con i commessi che le facevano i salamelecchi come se fosse una regina.
La settimana trascorse tra un’euforia e l’altra: saloni di bellezza, palestre di lusso e perfino qualche spettacolo che le era stato offerto così, tanto per gradire.
Venerdì arrivò una telefonata: «Allora signora Erminia, come va?»
La donna riconobbe la voce di Fantini: «Sono sinceramente un po’ frastornata. Ma siete sicuri che tutte quelle cose fossero proprio per me?» chiese come per avere una conferma.
Dall’altra parte fantini rise di gusto: «Certo, certo. Volevo comunicarle l’indirizzo del suo nuovo ufficio e anche le indicazioni per la settimana. Naturalmente lei è libera di andare lì a lavorare quando vuole. Dunque avremmo bisogno di lei Martedì mattina, Giovedì mattina e pomeriggio e venerdì mattina»
«Ci sarò in quelle mezze giornate, Ma in realtà sarò lì tutti i giorni dalle nove alle diciassette» rispose Erminia.
«Meraviglioso. Martedì mattina verremo anche noi. Quando lei arriverà l’ufficio sarà già aperto per lei dall’usciere. Troverà le istruzioni per il lavoro sulla sua scrivania. Arrivederci a Martedì»
Erminia chiuse il telefono rincuorata. Bene quello sarebbe stato l’ultimo fine settimana libero. Poi sarebbe cominciata una nuova vita d’ufficio. In fondo lei era contenta, l’aveva aspettato a lungo quel momento, anche se qualcosa in fondo in fondo al suo cervello rosicchiava quella certezza e quell’ottimismo, con una certa agitazione sulle sue mansioni effettive. Chiuse la porta a quel retropensiero ripetendosi che in qualsiasi evenienza non ci avrebbe messo niente a rinunciare. E si apprestò a passare il più bel fine settimana degli ultimi mesi.
V
Il Lunedì alle nove in punto Erminia si presentò in ufficio.
Quando si trovò di fronte all’edificio che lo ospitava, non riuscì a reprimere un moto di delusione. Si trattava di un capannone non molto ben messo in una stradina di periferia. Il quartiere era fatto di cubi di cemento di dieci e più piani, grigi, anonimi, veri alveari umani senza identità. Il colore dominante era appunto il grigio e il capannone sembrava aver conosciuto tempi migliori.
Altro che ufficio lussuoso, in centro, come si era immaginata. Si strinse nelle spalle: il compenso era pur sempre principesco: si sarebbe fatta andar bene anche lo squallore del posto. Cercò il portone, un passo carraio trasandato che dava su un cortilaccio di cemento. Sul portone in un gabbiotto scrostato c’era un custode, un omone grasso con una casacca lercia e un chepì surunto che portava un po’ sulle ventitré. Non appena la vide si alzò, cerimonioso: «Buongiorno: è lei la nuova segretaria? Il presidente Fantini mi ha pregato di farle fare un giro. Un momento che chiudo la sbarra»
L’uomo abbassò la sbarra che impediva l’entrata di veicoli nel cortile e la accompagnò verso una porta di ferro con qualche vetro rotto.
Appena oltrepassata la soglia ebbe la sua prima sorpresa.
Appena al di là della porta c’era un ingresso lindo e pulito su cui si apriva una seconda porta in legno massiccio, finemente elaborata.
Fu invitata a oltrepassare la porta e Erminia sbatté le palpebre per lo sciok. Dietro c’era un salone molto più bello di quello che aveva visto nello studio Fantini e Mirati. Alle pareti tessuti che riconobbe come broccati, colonne di marmo (o che almeno apparivano come tali), elaborati fregi dorati, e una monumentale scrivania tra due porte scorrevoli a vetro che davano in due incredibili uffici , uno alla destra e uno alla sinistra.
«Questi sono gli uffici dei capi» disse, piuttosto sbrigativo il custode «E questa è la sua scrivania» fece accennando a quel catafalco tra le due porte.
Accostata all’enorme piano lucido su cui non c’era neanche una carta ma erano ben schierati un dittafono, uno schermo gigante di computer e qualche ammennicolo decorativo di evidente valore, c’era una poltrona presidenziale di pelle.
«Io devo lavorare qui?» chiese l’Erminia con una vertigine.
«Sì, questa è la sua» rispose il custode «Non vuole vedere il resto?»
«C’è un resto?» chiese quasi tra sé e sé la donna.
Il custode la portò a visitare i due uffici presidenziali e poi attraverso una terza porta entrò in uno stanzone pieno di scrivanie ordinate, lucide ma tutte vuote con le sedie meticolosamente accostate.
«E qui chi ci lavora?» chiese lei un poco rincuorata. Probabilmente non c’era nessuno perché nessuno era ancora arrivato.
«Nessuno» disse il custode.
«Nessuno?» fece Erminia smarrita.
«Questo è un ufficio speciale. Molto speciale» rispose il custode enigmatico «Vedrà da sola…»
E poi andarono in una deliziosa ed elegante sala mensa, anche questa deserta ma pulita e ordinata e in un salotto per la conversazione, elegantissimo pieno di divani e giornali. Erminia controllò: erano giornali di quella mattina.
Quando ebbero finito il giro attraverso quei locali tenuti benissimo e assolutamente deserti si ritrovarono nell’atrio principale.
«Bene, il giro turistico è finito. Sono contento di accoglierla qui con noi. Le faccio i miei migliori auguri»
Erminia era molto disorientata e non si trattenne più: «Con noi? Cioè io e lei? Io non ho visto nessun altro»
Il custode sorrise: «Oh, non si preoccupi. Pian piano comprenderà la… situazione. Per intanto la lascio al suo lavoro» disse ironicamente l’uomo facendo cenno di andarsene.
«Ma che cosa devo fare?» chiese Erminia.
L’uomo si fermò, poi le si accostò e abbassando la voce, come se temesse di essere ascoltato le disse: «Si compri un po’ di libri. Le serviranno per ammazzare il tempo…»
La donna lo guardò senza capire, poi quegli se ne andò.
Erminia si sedette alla scrivania, provando la sensazione e la vertigine di essere sul ponte di comando di una portaerei.
Aprì i cassetti ed erano completamente vuoti eccetto uno in cui erano ordinate matite, penne e altri oggetti di cancelleria.
Vide anche un fascicoletto in cui erano contenute le istruzioni per accendere il computer.
Lo fece e lo schermo si animò. I soliti programmi d’ufficio: fogli di calcolo, indirizzari contenenti qualche centinaio di indirizzi mail, tutto molto ordinato ma documenti, pratiche: nulla.
Si alzò, aprì qualche antina dei mobili: erano tutti vuoti, a parte gli scaffali a vista, pieni di libri rilegati nello stesso stile di quelli che aveva visto nello studio.
Esaurito il sopralluogo in quello strano ufficio che non aveva documenti di sorta, né pratiche, cartelline, insomma niente di niente di quello che ci si aspettava di trovare in un ufficio normale, si sedette nuovamente alla scrivania e si domandò: «Ma dove sono capitata? E che cosa devo fare?»
Improvvisamente il telefono trillò.
Erminia alzò la cornetta e rispose… già che cosa doveva rispondere? Inventò lì per lì: «Pronto sede distaccata dello studio Fantini e Curati?»
L’interlocutore esitò poi la voce di Fantini disse: «Buon giorno signora Erminia. Allora, le piace il suo nuovo ufficio?»
«Per essere bello è bellissimo» disse lei «Ma non ho ben capito che cosa devo fare…»
«Per adesso deve stare lì e rispondere al telefono se chiama qualcuno. Ma deve dire: Pronto MRM Foundation… non sede distaccata o quello che ha detto. Quella in cui si trova ora è una fondazione che abbiamo istituito per fare alcuni lavoretti che le spiegheremo. Lei dovrà ascoltare quello che le dicono, prendere nota, e passarci le informazioni. Se le chiedono appuntamenti o udienze o cose del genere, lei prenda nota e poi ci riferirà giornalmente due volte al giorno se ce ne sarà bisogno.»
«Mi scuso, non sapevo…» disse Erminia.
«Non poteva sapere… Intanto la pregherei di preparare tutto per domani mattina. Sarà una giornata piuttosto intensa. Gli attori dovrebbero arrivare verso le 8,30 e quindi lei dovrebbe trovarsi lì qualche minuto prima.
«Attori?» chiese Erminia sempre più confusa.
«Ci saremo ovviamente anche noi, ma assumeremo una posizione diciamo un po’ defilata» Fantini ridacchiò. «Noi arriveremo per le nove e mezza e dovrà essere tutto pronto».
«Pronto per che cosa?» chiese Erminia, che non capiva nulla di quel che le veniva detto.
«Ah, mi raccomando, domattina dovrà essere molto elegante. Quanto al resto non si preoccupi gli attori sanno già tutto, quindi per questa volta lei non dovrà preoccuparsi troppo. Per le volte prossime poi vediamo… Bene la devo lasciare. Allora a domani» e attaccò.
Attori? Ma che cosa stavano combinando quei due? E soprattutto adesso che cosa avrebbe dovuto fare fino al giorno seguente?
La donna girò un po’ di qua e di là, sperando che almeno qualcuno chiamasse. Sentendosi sempre più a disagio in quell’enorme ufficio da sola.
Alla fine aprì il computer e decise di imparare a fare qualcosa con tutti quei programmi. Così facendo tirò fino alla fine della giornata, alle 17. Quando fu ora di staccare, prese il cappotto e uscì con la sua borsetta elegante nuova di pacca.
Alla guardiola c’era il custode che le sorrise: «Allora com’è stato il primo giorno qui con noi?»
Erminia si strinse nelle spalle: «Se solo sapessi che cosa devo fare…» disse.
Il custode la accompagnò fuori: «Non si preoccupi, chiudo io. E per quella…» disse indicando la borsetta «Non la esibisca troppo… non è un buon quartiere questo» disse, poi continuò; «Se vuole venire in macchina può sempre posteggiare qui in cortile…»
Erminia si guardò intorno spaventata: «Magari domani vengo in macchina» disse.
«E farà bene. Ma cerchi di arrivare presto. Domani potrebbe avere qualche problema per parcheggiare» disse il custode tirando una pesante saracinesca di ferro che chiuse completamente il vano portone.
VI
La viuzza era completamente ingombra da una coda di automobili.
«Che cosa sta succedendo qui?» si chiede abbassando il finestrino. La coda non si muoveva ed erano già quasi le otto. Finalmente dopo qualche minuto riuscì a muoversi a passo d’uomo verso il capannone e con sua grande sorpresa scoprì che tutte le auto erano dirette lì. Il guardiano si faceva consegnare i documenti degli autisti, poi sollevava la sbarra di ferro e li faceva entrare.
Quando fu il suo turno lei fece per porgere i suoi documenti: «Buongiorno signora Erminia. Ma che scherza? Passi, passi. Il suo posto riservato è nel settore D al numero 38. Lo ricordi. Quello è il suo parcheggio personale»
«Grazie» fece lei e oltrepassò la soglia.
Quando scese traballò leggermente sulle scarpette con lunghi tacchi, prese una storta, imprecò mentalmente: «Accidenti a questa roba. La dovrò tenere per tutto il giorno?»
Quando entrò le venne il capogiro. L’ufficio era un via vai di gente, impiegati affaccendati che giravano con faldoni pieni di carte, capannelli davanti alle macchinette del caffè, dappertutto era uno squillare di telefoni e un sommesso ronzare di voci. Si accostò alla propria scrivania, posò il soprabito all’attaccapanni e si sedette. Subito il dittafono trillò: «Signorina Erminia, può venire nel mio ufficio?» chiese una voce nota.
«Dove devo…» iniziò lei.
Una risatina si udì dall’altra parte: «Quello alla sua destra».
Quando fu entrata i due titolari erano seduti l’uno alla monumentale scrivania, l’altro su una delle due poltrone frontali.
«Si accomodi» la invitò Mirati, cordialmente.
«Ha visto che roba?» chiese Fantini.
«Sono un po’ frastornata» disse Erminia sedendosi.
«Comprensibile. Che cosa le pare? Sembra proprio un vero ufficio, non è così?» chiese Mirati tronfio.
«Perché, non lo è?» chiese apprensiva Erminia.
Fantini diede in una risatina convulsa: «Eppure glielo abbiamo detto ieri. Mi riferisco al fatto degli attori.»
«Attori?»
«Sissignora. Tutti quelli che vede qui, tranne il signor Vailati, il custode, sono attori. Lei dovrà tenere il registro delle comparse, perché se ci sarà bisogno di ricreare la stessa squadra dovremo sapere chi c’era oggi. E questo è il suo primo compito»
«Cioè devo chiedere il nome a tutti quelli che lavorano, cioè fanno finta di lavorare qui oggi?»
«Esatto. E depositerà questa lista nell’apposito cloud che troverà» disse Mirati.
«Oggi riceveremo un preside di scuola superiore. Verrà a chiedere dei soldi per la sua scuola. Lui non sa che glieli daremo. Ma dovrà sudarseli» disse Fantini.
«Quindi lei dovrà trattarlo con molta supponenza. Per questo le abbiamo chiesto se ha già recitato. Immagini di essere la segretaria di due personaggi molto importanti…» suggerì Mirati.
«Non le sarà difficile. Noi SIAMO due personaggi importanti» e tutti e due ridacchiarono.
«E che cosa dovrò dire?» chiese Erminia un po’ seccata.
«Quello che vuole. Lo faccia attendere un po’. Dia l’impressione di essere seccata dalla sua presenza. Ogni tanto faccia finta di chiamarci con il dittafono. Alla fine quando vedrà che il tizio è cotto a puntino e sarà sicuro di aver fatto una visita a vuoto, lo farà entrare» disse Fantini.
Erminia esitò un momento: «Chiedo scusa… ma quale sarebbe lo scopo di questa messa in scena?» chiese francamente.
I due si guardarono strizzando gli occhi. Poi Mirati si rivolse a lei: «Il primo scopo è vedere come lei si comporterà. Dobbiamo capire se è utile per i nostri scopi… questo sarà un compito facile, ma i successivi potrebbero essere delicati…»
«Molto delicati» assentì Fantini.
«Il secondo invece è che vogliamo fare una sorpresa al professor Melatti» disse Mirati.
«Poveretto, ci tiene così tanto al suo progetto. E quando avrà perduto ogni speranza… zac! Si ritroverà i soldi in tasca»
I due ridacchiarono.
«Certo dovrà sudarseli un po’» disse infine Mirati «Ma immagini come sarà contento. E lo sarà proprio perchè non se li aspettava».
Erminia era confusa. I due la guardarono soddisfatti. Poi Fantini chiese: «Senta, desidera partecipare anche lei alle trattative? Così vede la nostra tattica. E potrà anche darci manforte. Mi raccomando: deve essere cinica e supponente. Deve lasciar cadere le cose dall’alto…»
«V-va bene» disse Erminia, per nulla convinta.
«Allora la chiameremo. Adesso vada alla sua postazione. Il professore sta per arrivare. È uno puntuale» fece Mirati.
«Quanto devo farlo attendere?» chiese Erminia.
«Quanto basta per farlo diventare nervoso. Deve avere la sensazione di aver perso tempo a venire qui».
La donna uscì pensando in cuor suo che quei due dovevano essere completamente fuori di cervello.
VI
Il professor Melatti entrò seguito da due individui: una donna che assomigliava a un gufo e un uomo attempato con un paio di occhialetti rotondi bordati di rosso.
Nel suo volto manifestava anche lui lo stupore per il contrasto tra l’esterno di quell’edificio e l’interno così lussuoso. Non appena fu entrato l’ufficio parve animarsi di una vita sua: gli attori si misero a fingere di lavorare così bene che per un attimo persino Erminia ebbe l’impressione di essere in un vero ufficio. Il suo telefono cominciò a trillare. Le chiamate erano tutte false. Una voce le dava le istruzioni ogni volta: «Risponda “Buongiorno senatore”» e lei deferente: «Buongiorno senatore. Che cosa posso fare per lei?» e così via.
Melatti con la sua delegazione si fermò esitante in mezzo all’atrio. Erminia attese un po’ poi, fingendosi indaffarata gli rivolse la parola: «Buongiorno. Che cosa desidera?» gli chiese con un’aria decisa, di sufficienza.
«Buongiorno, avrei un appuntamento con il cavalier Fantini» disse quegli agitato.
Lei aprì un’agenda assolutamente vuota, curando di non mostrarla, sfogliò qualche pagina poi si rivolse al visitatore: «Potrebbe ripetermi il nome, per cortesia?» chiese, professionale.
«Oh, scusi non l’ho detto. Sono il professor Melatti, dirigente scolastico dell’Istituto Superiore Agostino Garfagna»
Erminia lo guardò dall’alto in basso, sfogliò ancora qualche pagina poi disse. «Sì, ho segnato un appuntamento per le nove e quindici. Può accomodarsi nel salotto d’attesa, la chiamerò quando il cavaliere potrà riceverla»
«Grazie fece» il professore, un poco deluso.
Con i suoi due compari andò a sedersi in un salotto con un tavolinetto basso su cui c’erano riviste di finanza. Bofonchiò qualcosa sottovoce con l’uomo occhialuto, guardò l’orologio, prese il cellulare e cominciò a scorrere schermate.
Nel frattempo Erminia continuò a ricevere istruzioni al telefono e a omaggiare Eccellenze, Monsignori, Cardinali, Ministri e Capitani d’industria che non esistevano. I tre ascoltavano in tralice ed erano sempre più agitati. Si vedeva che in quel mondo di relazioni così importanti si sentivano fuori luogo. L’attesa intanto li logorava e alle 9,30 il preside si alzò e andò alla sua scrivani.
«Saprebbe dirmi se avremo ancora bisogno di tempo perché avrei una riunione a scuola…» iniziò.
Lei lo guardò con tutto il disprezzo che riuscì a fingere e disse risentita: «Il Cavaliere sta trattando una questione assai importante. La riceverà non appena possibile» e tornò ad affaccendarsi con tutte quelle carte che non avevano nessun valore e che lei maneggiava come se fossero le carte più preziose e importanti dell’Universo. Melatti se ne ritornò nell’angolino e fece alcuni gesti eloquenti ai suoi due accoliti, di aver pazienza, che bisognava aspettare.
«Finalmente alle dieci, quando i tre davano vistosi segni di impazienza e nervosismo e sembravano piuttosto scocciati d’essere messi nell’angolo, Erminia valutò che fosse il momento di non procrastinare oltre la graticola. Al primo squillo di telefono approfittò e non ascoltando l’istruzione della voce disse: «Cavaliere? Come? Lo riceverà il Commendatore? Ah, no, tutti e due? D’accordo, lo faccio entrare»
Poi si alzò andò solennemente alla poltrona d’attesa e disse sussiegosa: «Il Cavaliere la attende» scoccando uno sguardo di sufficienza sugli altri due.
I tre si alzarono come spinti da una molla ed Erminia fece strada fino al massiccio portone di noce. Bussò leggermente.
«Avanti» disse una voce imperiosa.
«Il professore Melatti» introdusse lei.
Mirati e Fantini, seduti a un angolo dell’imponente tavolo da riunioni alzarono lo sguardo e fecero un cenno di assenso: «Accomodatevi, Accomodatevi»
I tre si avvicinarono al tavolo dove furono invitati a sedersi.
«Signorina» ordinò imperioso Mirati «Avremmo bisogno di lei. Prenda qualche foglio su cui segnerà qualche appunto e segua la riunione con noi, la prego»
Erminia fece un rigido cenno di assenso. Uscì e rientrò immediatamente con un blocco di appunti. Si sedette sul lato opposto del tavolo, accanto a Mirati e si apprestò a scrivere.
«Professore, mi può ricordare il motivo di questo nostro appuntamento? Sa dobbiamo seguire talmente tante questioni…»
Erminia colse immediatamente un moto di disappunto sul volto del professore che si ricompose subito, sorrise, garbato, e iniziò a parlare.
«Mi rendo conto… dunque era per il progetto Smart-board… cioè il rinnovo del parco macchine informatiche della scuola…» iniziò il preside.
«Parco macchine?» fece Mirati guardando schifato Fantini.
Fantini ricambiò lo sguardo alzando gli occhi al cielo: «Ma non avevamo detto che non avremmo finanziato più nessun parco macchine di nessuna scuola?» disse al collega ignorando completamente il trio degli ospiti che cominciavano a deglutire e a sudare vistosamente.
«Dopo l’esperienza del liceo Superiore del Ministero…» iniziò Mirati.
«Mi dispiace professore…» disse Fantini con il tono di chi vuole far finire la riunione e ha già la testa da un’altra parte.
«Fo…. Forse c’è stato un equivoco… quando ci eravamo sentiti per telefono… su vostra richiesta… mi era parso che il progetto vi interessasse…» disse quasi balbettando Melatti.
«Quale progetto?» chiese infastidito Fantini.
«Ehm… come le ho detto il progetto Smart Board…» disse sconfortato Melatti.
«Signorina, mi può prendere una copia del progetto? Non ricordo di averlo letto…» disse con una punta di disapprovazione.
Erminia lo guardò interrogativa per un attimo poi si alzò e andò verso un armadio, lo aprì e prese un faldone a caso. Lo portò ai due che la ringraziarono e aprirono il faldone. Cominciarono a cercare tra innumerevoli fascicoli.
Il silenzio diventava sempre più greve e i tre si sentivano così imbarazzati che avrebbero pagato tutto quel che possedevano pur di trovarsi fuori di lì.
«Ehm se volete io ne avrei una copia…» disse d’un tratto il preside porgendo un fascicoletto a Mirati.
Il quale lo prese e lo sfogliò distrattamente. Poi con un cenno di disapprovazione lo porse a Fantini.
I due parlottarono brevemente a voce bassissima, poi Mirati chiuse di scatto il progetto: «La risposta è no. Finanziare l’acquisto di computer che andranno bene per un paio d’anni e poi saranno di nuovo obsoleti non è nella filosofia della nostra Fondazione»
Melatti fece un sorriso sgradevolissimo, nel quale non riuscì a nascondere la sua delusione e anche la sua irritazione.
«D’altra parte vi siete incomodati per venire fin qui… in fondo ci dispiace che vene andiate così delusi. Che possiamo fare’» chiese Mirati rivolgendosi a Fantini.
Fantini ci pensò un attimo: «Non so… l’unica cosa che mi viene in mente è quella scuola di Sabaudia…»
«Vi interesserebbe?» chiese Mirati rivolgendosi al preside che si mostrò immediatamente rianimato a quell’esile filo di speranza datogli da quei due.
«Non so di che cosa si tratti» bofonchiò ma si potrebbe anche…» disse.
«Non si aspetti granché… in assenza di un vostro progetto non è che possiamo impiegare cifre significative…» fece Fantini.
«Saremmo onorati… ancor più se aveste la cortesia di dirci in che cosa consiste il progetto di quella cosa… quella scuola di Sabaudia…» disse Melatti.
«Oh, beh, lì abbiamo acquistato smartboard per tutte le aule… a proposito quante sono le vostre aule?» chiese Mirati.
«Trenta» rispose prontamente il preside che dalla delusione più nera si vide improvvisamente gratificato d’una fortuna che non avrebbe mai osato sperare.
«Che dici? Si potrebbe fare?» fece Mirati a Fantini. Questi fece una smorfia di indifferenza. «Sì e con l’avanzo qualche arredamento per le aule»
«Arredamento per le aule? Oh che meraviglia…» si fece sfuggire il preside.
«Sì ma non si aspetti chissà che cosa: possiamo arrivare al massimo a duecento» fece Fantini.
«Duecento?» chiese il preside ripiombato nella delusione più nera. Ma che cosa credevano quei due svampiti di comprare con duecento euro? Tuttavia era sempre meglio che niente. Melatti masticò amaro, stirò un sorrisetto e maledicendoli mentalmente disse, cortese ma agre: «Comunque grazie…»
Mirati si volse a erminia che non si lasciava sfuggire una parola, cercando di capire dove volessero arrivare quei due: «Signorina, li abbiamo in cassa duecentomila euro, da dare ai signori?»
Al preside prese un coccolone. Sbiancò, poi diventò di brace: «Duecentomila euro?» si lasciò sfuggire, quasi con un gemito.
Mirati e Fantini lo guardarono male: «Li ritiene insufficienti? È che in questo momento non è che possiamo dare molto di più… Facciamo duecentoventimila, via, tirando qua e là»
Erminia trasse un sospiro di sufficienza, poi disse: «Devo consultare il computer per vedere se tra gli avanzi di cassa c’è qualcosina…»
Mirati e Fantini si guardarono ghignando un istante, poi dissero con sufficienza: «Controlli per piacere e ci faccia sapere».
Erminia uscì, si sedette alla scrivania per un po’ di tempo senza fare nulla poi rientrò in ufficio.
I cinque stavano ormai conversando allegramente, completamente distesi con una bottiglia di whisky aperta sul tavolo e cinque bicchieri da drink pieni di ghiaccio.
«Dunque?» fece Mirati.
«Duecentodiecimila li abbiamo. Li possiamo prendere dalle rimanenze del progetto Stolzberg che non sono stati incassati» disse Erminia. Mirati e Fantini la guardarono estasiati.
«Vanno benissimo» si affrettò a dire Melatti «Saranno più che sufficienti per comprare gli oggetti che ci avete indicato…»
«Va da sé che gli acquisti li faremo noi» disse deciso Fantini «E che voi riceverete schermi e arredi senza dover far passare per i vostri conti un solo centesimo… con tutto quel che hanno da fare le segreterie…»
«Assolutamente d’accordo. Riceveremo la merce come donazione…»
«Perfetto» disse Melatti.
Quando lasciò l’ufficio era raggiante. Complice anche una certa ebbrietà derivatagli dal carico dei molteplici whisky che gli erano stati versati nel bicchiere, nell’indietreggiare verso la porta si inchinò così profondamente da barcollare. Non cadde per il pronto intervento di uno dei professori che lo sostenne mentre si profondeva in ringraziamenti e complimenti alle magnifiche signorie che aveva avuto l’onore di incontrare.
Mirati e Fantini ridacchiavano e si inchinavano brevemente a loro volta nell’accompagnare il funzionario all’uscita.
Quando se ne fu andato si udì dire ai collaboratori: «Che culo abbiamo avuto. Che culo. Non ci capiterà mai più una cosa così»
Fantini e Mirati ritornarono divertiti in ufficio.
Nell’atrio, Erminia era seduta, sorniona alla sua scrivania, fintamente indaffarata.
Mirati disse: «Signorina, ci vuole seguire in ufficio?»
Erminia si alzò inquieta.
Quando i tre furono in ufficio ed ebbero chiuso la porta, scoppiarono in una sonora risata.
«È stata fantastica» disse Mirati.
«Progetto Stolzberg?» disse tra le risate Fantini «E dove l’ha trovato questo nome?»
«È il nome di un personaggio dell’ultimo spettacolo nel quale ho recitato» disse la segretaria.
«Molto, molto bene, se lo lasci dire»
«Sì, lei ha dimostrato presenza di spirito. È stata naturalissima quando le abbiamo chiesto di portarci il progetto…» fece Mirati sedendosi alla scrivania.
«Quindi ovviamente lei è confermata. Le questioni naturalmente non sono sempre così semplici…» si affrettò a dire Fantini.
«Grazie per la fiducia» disse Erminia, professionale «Cercherò di essere sempre all’altezza della situazione. Qual è, dunque signori il prossimo… caso?» chiese, meritandosi lo sguardo ammirato e compiaciuto dei due finanzieri.