(da: “I dieci racconti dell’Aria”)
Era colpa di uno stupido anello. Uno. Stupido. Anello. Marco lo guardò. Era di metallo comune, linee graffite sulla circonferenza grigia e un taglio lucente sul bordo, appena zigrinato.
“Un giorno di fuoco” pensò e si rimise a raschiare la terra con le mani. Fuori dal tubo di cemento pioveva a secchiate e un penetrante odore di umidità permeava l’aria, satura di ozono. “Non basta un temporale a scacciare l’angoscia” si disse mentre ingoiava un morso di elettricità. Gli penetrò nello stomaco facendolo pulsare dolorosamente.
L’attesa era intollerabile. Si chiese quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di ottenere la risposta. Ebbe la tentazione di svestirsi e di uscire nudo sotto la pioggia. Forse un fulmine avrebbe potuto colpirlo, tutto sarebbe finito e lui non avrebbe dovuto far altro. Smettere di cercare, di provarci, di restare sempre angosciosamente con un pugno di mosche.
Prese il frammento di specchio che si era trascinato dentro il tubo, scorticandosi le mani, pulì il sangue dalla superficie lucida e si guardò.
Anche a non considerare per niente il suo aspetto come grazioso, tuttavia la testa schiacciata sui capelli rossici ravviati all’indietro lo faceva aggraziato, anche se un po’ troppo allampanato. Che cosa vuol dire però essere allampananti a quindici anni…. un’inconsistente vantaggio che scalda gli occhi grigi presso altri occhi, quelli delle ragazze che ti guardano per scoprire qualcosa o per saggiare la delusione che tu trasmetti loro.
Un sospiro amaro gemé tra le sue labbra. Proprio quello era il motivo che lo aveva portato lì, a quell’estremo luogo della sofferenza, in attesa, come sempre, di un verdetto. Sempre per quel maledetto anello.
Marco era abituato ai verdetti, quasi sempre sfavorevoli, della sua non ancor lunga vita.
Li ripassava nella sua mente, in ferrea successione temporale, li vezzeggiava e collocava i suoi fallimenti nel limbo della memoria, non quello che è fatto apposta per dimenticare le cose spiacevoli, bensì quello che fungeva da paradigma, il LIMBO assoluto, fatto di tutte le angosce che nascevano da figuracce, verità non dette e scoperte, desideri di annientamento dopo operazioni di dubbio gusto che in società ti facevano inusitatamente piccolo.
Eh già perché non c’era tranquillità nemmeno lì, nemmeno dentro il foro della coscienza, nemmeno dietro la siepe delle dicerie più o meno vere, di cui è circondata la gran casa umana.
Poi si rammentò del motivo per cui era lì, nascosto dentro un tubo di fogna abbandonato, ai margini del quartiere più miserabile della più miserabile città dello stato.
Era, tutto sommato un motivo nobile.
Si guardò le unghie orlate di nero, spezzate in più punti. Le dita erano gonfie e non si sarebbero più potute infilare dentro un naso qualsiasi, non esisteva una narice così larga che le accogliesse. L’anello stringeva sul medio, facendolo pulsare e lasciando una traccia rossa di metallo quasi conficcato nella carne. Sorrise. Amaro.
D’un tratto un calpestio provenne dal sentiero che scendeva sul greto del fiume. Marco si affacciò appena dal tubo e si ritrasse prontamente. Una squadra di Vigilanti stava scendendo verso di lui. Avevano i cani. E gli stivali lucidi inzaccherati di fango.
«Una cosa non sopportano i Vigilanti: quando sono costretti a sporcarsi gli stivali»
Mohandas glielo aveva ripetuto un sacco di volte quando, in un’altra era, passavano le sere intorno al fuoco comune, senza doversi nascondere o fuggire braccati come dei maiali selvatici.
Un motivo nobile. Marco si ripeteva continuamente questa litania mentre era acquattato dentro il tubo e pregava che quelli non lo trovassero. Le dita andavano inconsapevoli all’anello e quando lo tastavano al suo posto, lui veniva scosso da un brivido di sicurezza.
Un motivo nobile.
Un motivo nobile.
D’un tratto un ringhio lo scosse.
«Eccolo qua» esplose una voce divertita dentro il tubo «è qui l’ho trovato»
«Con questo fanno dodici questa settimana» disse un altro che si affacciò e fece una smorfia di disgusto «un giorno mi dirai come fai.»
«Questione di stile» disse l’altro allungando un bastone con una pallina in punta verso Marco.
Questi con un’espressione di muto terrore si affrettò a biascicare: «No, vengo. Non fatemi del male. Esco subito»
«Vieni fuori, feccia.» disse il Vigilante con il bastone.
Marco si levò barcollando e uscì chinato. Il primo gli diede un calcio che lo fece finire a terra.
«Puzzi di merda» disse il secondo.
«Sei una merda» lo sbeffeggiò un terzo e gli diede una pedata sulle costole.
Marco boccheggiò e si rannicchiò sofferente: «Non fatemi del male. Non fatemi del male»
Un motivo nobile. Un motivo nobile.
«Alzati, merda» gli intimò il primo, quello che l’aveva trovato.
Tra i capelli sudici, Marco guardò dal basso il Vigilante. Dietro di lui il fiume scorreva pigro.
E allora prese la decisione.
Saettò improvviso, inaspettato e si abbatté sull’uomo che non si aspettava una simile reazione.
I due rimasero avvinghiati un istante mentre il Vigilante, allarmato urlava: «Non toccarmi, non toccarmi immondizia».
Poi perse l’equilibrio e cadde all’indietro,verso le acque limacciose. I due aggrovigliati lottarono per qualche istante nel fango mentre affondavano insieme. Quando l’acqua limacciosa raggiunse ilcollo il vigilante cominciò a strillare disperato. «Salvatemi. Che cosa aspettate?» ma gli altri lo guardavano inebetiti dalla riva con gli occhi sbarrati e non si muovevano.
«Peccato» disse uno di loro quando tutto fu finito «Joel era bravo a trovare gli anelli»
«Se l’è cercata» sbottò un altro mentre cercava di ripulirsi gli stivali dagli schizzi di fango «Con la merda bisogna starci attenti.»
«Sacrosanto» disse un terzo.
Poi i Vigilanti si guardarono intorno e sciamarono via alla chetichella, ripensando a quello che ognuno di loro avrebbe dovuto riferire, quella sera all’Attendente sulla brutta faccenda di Joel. Ovviamente per evitare la punizione.
Quando furono spariti nell’acquerugiola nebbiosa che aveva preso il posto degli scrosci temporaleschi, una bolla eruttò dalla melma del fiume e un anello venne scaraventato a riva.
Un bambino passò di lì e notò il luccicore dell’anello. Si guardò intorno, lo raccolse svelto e se lo cacciò in tasca. Mentre si allontanava sentiva dentro di sé la nascita di un nobile motivo. Fu una sensazione strana, eccitante come una cosa proibita. Un motivo personale per vivere, così distante da quello che ti dicevano tutti fin dalla nascita: non devi vivere per te, ma per la comunità, per il suo benessere.
Si riscosse, un po’ intontito. Barcollando si avviò verso casa. Scelse la strada più lunga: a volte i nobili motivi inducono ad attardarsi un po’ per qualcosa di nuovo. Un Vigilante lo squadrò torvo: il bambino, intimorito, si affrettò a sparire nella nebbia.
(2016)