(Da “I dieci racconti dell’Aria”)
D’un tratto il bassorilievo si anima e Cosma e Damiano ritornano a vivere. Nei secoli impietrati in quel lastrone di marmo adesso, carne di nuovo, si possono liberare e spostare. Si girano e guardano intorno. Le due dimensioni e la terza appena accennata non facilitano certo la comprensione di questo nuovo mondo ma loro due sanno. Sapevano già allora, quando li fecero santi ma adesso… Cosma va avanti. E’ sempre stato l’esploratore. Si sa che nei gemelli c’è sempre qualcuno che va per primo mentre l’altro segue a ruota. Damiano è quello più mingherlino. Quello che avrebbe resistito di meno sotto tortura, se li avessero torturati. In realtà non sanno che più loro bene com’è successo tutto. In fondo è stato così breve a confronto con quello che hanno patito lì, scolpiti. Questa è la beffa grandiosa: che in fondo la morte sia solo un momento e che la tragedia della fine di una vita (assolutamente unica per tutti a quanto dicono) si consumi in pochi istanti quando ti va bene oppure in poche ore o in pochi giorni. Sempre comunque poco. Damiano segue senza neanche chiedersi perché sono lì. Forse è arrivato il Giudizio Universale con conseguente risurrezione della carne, pensa Cosma. Damiano, che gli legge nel pensiero, tanta era la loro intimità, scuote la testa. Che cosa vuol dire risorgere di pietra?
Cosma ride a quel pensiero. Incontrano una donna che scappa e un ragazzo che si fa una sega finale. Proprio prima del giudizio universale. Fino all’ultimo siamo sempre uguali. Non abbiamo imparato niente. Cosma tira sempre dritto. Damiano vorrebbe fermarsi a convertirlo ma l’altro come al solito non lo vede neppure. Per fortuna arriva una ragazza che lo prende per mano e lo porta via. Damiano sorride. Allora le preghiere valgono ancora qualcosa. «Valgono soprattutto adesso!» ribatte Cosma e si ferma di colpo sul sagrato di una Chiesa.
“SS. Cosmae et Damianus” si legge sul fastigio a lettere d’ottone. Cosma si guarda e si vede fratello. Damiano gli stringe la mano. E così Cosma, medico cristiano, discepolo fedele esce dai panni di pietra sbocconcellata che ne aveva scancellato l’identità e si riprende quello che non aveva più saputo dall’immemorabile dei tempi lasciando felice Damiano che adesso va lui avanti, perché è sempre uno che guida la famiglia e questo lo sanno tutti. Intanto tutt’intorno comincia a crescere la cenere bianca e la gente comincia scivolare in una melma sudicia perché nel frattempo è anche cominciato a piovere. L’acqua impasta la cenere e quando cadi non ti rialzi più. Tutti scappano. Tutti non sanno come scappare: per essere un bel Giudizio Universale prima devono morire tutti. E infatti non c’è più nessuno che va in giro perché la melma è alta più di un metro ormai e non si riesce più a camminare. Ma Cosma e Damiano sono due cristiani eterei perché sono già morti secoli prima e hanno capito che la melma è solo un’illusione dei sensi, come illusioni dei sensi sono corpo, bellezza e vita.
Così vanno avanti e avanti fino alle pendici del monte del Paradiso e là trovano un grande disordine perché tutti ci vorrebbero entrare e c’è bel daffare per dimostrare che si era in perfetta letizia quel giorno. C’è anche il ragazzo che adesso si vergogna un poco. Probabilmente lui non ci avrebbe neanche provato ma quella ragazza lo ha obbligato ad andare fin lì. Cosma lascia la mano di Damiano e va verso l’implacabile portiere. Al suo passaggio tutti fanno ala come se lo conoscessero bene e lui fosse un personaggio importante. Arrivato lì i due si guardano in faccia, il portiere e Cosma. Poi il primo fa spallucce e lascia entrare il ragazzo. Lui, Cosma gli fa un cenno, guarda Damiano che scuote il capo, e tutt’e tre entrano dentro il cancello.
«Ce l’ha fatta anche stavolta» mormora Damiano e si allontana sospirando. Va a riprendere il suo posto in attesa che nel prossimo giudizio universale da qualche parte non ci sia qualcun altro da salvare all’ultimo momento. Come al solito.
(06/06/2000)