Storie della Fondazione per la Normalizzazione della terra
«Isham Singh! Ti sei addormentato?» tuonò la voce mascolina della dottoressa Kamitz irrompendo nel minuscolo ufficio dell’Ala 9.
Isham si svegliò di soprassalto, arrossì e cercò di scusarsi: «Il turno è quasi finito e…»
«Balle» rispose quella precipitandosi alla scrivania dove era aperto il registro delle rilevazioni.
«È tutto a posto» disse Isham con un fastidioso tremolio della voce mentre il suo capo, la Kamitz appunto, smanettava sul computer per verificare l’esattezza e la correttezza delle procedure della notte.
«Sembra che sia davvero tutto a posto» borbottò infine gettando il mouse lontano sul bancone.
Isham respirò: «La fine del turno era vicina» articolò lentamente.
«Non è una buona ragione per addormentarsi. A proposito, siamo certi di aver rilevato tutto nei tempi giusti? Non abbiamo falsificato qualcosa?»
Isham la squadrò indignato: «Che cosa vuole insinuare? Che abbia falsificato qualche rilevazione?»
La dottoressa Kmitz gli si parò proprio davanti agli occhi. Aveva una vago sentore di muschio e limone, un profumaccio evidentemente acquistato in qualche mercatino. Per risparmiare forse. Isham abbassò lo sguardo.
«Vada a dormire adesso. Ne ha diritto» disse un poco più distesa.
Isham respirò, poi prese il coraggio a due mani: «Volevo segnalarle una piccola anomalia dei dati» disse tutto d’un fiato.
La dottoressa Kamitz alzò un sopracciglio: «Cioè?»
Isham frugò nelle cartelle del desktop. Ne aprì una e attivò un foglio di calcolo sul quale era stato costruito un complicato grafico: «Guardi qua» disse poi.
La dottoressa scrutò l’insieme delle linee mosse che si intersecavano, poi chiese: «A quale ceppo di riferisce?»
«Hr 484. Il ceppo Hr 484» rispose Isham.
La dottoressa si avvicinò ancora di più al tracciato scrutandolo con attenzione, poi borbottò tra sé e sé: «Una responsabilità simile non me la prendo. D’altra parte…» si arrestò, perplessa.
«Possibile?» disse poi seguendo col dito una linea gialla che in un punto preciso delle coordinate aveva prodotto uno schizzo verso l’alto.
Adesso Isham era sollevato. Comunque fosse andata, quella segnalazione interessava al capo progetto, e la dottoressa Kamitz solitamente non amava mostrarsi troppo compiacente riguardo al lavoro dei suoi subordinati.
Isham aspettò che la dottoressa focalizzasse le prospettive che si aprivano con quel dato. Poi accennò a dire: «Io credo che…»
«Stia zitto, giovanotto» lo rimbeccò duramente la scienziata. Quindi estrasse un cellulare dalla tasca del grembiule verde e digitò un numero.
«Van Gleb? Parlo con Van Gleb? Professore, credo che debba fare un salto qui. S’è verificata una cosa… glielo spiegherò quando giungerà qua sotto. Sì, secondo me è interessante. Molto interessante.» disse sottolineando il secondo ‘molto’.
Isham adesso era piombato in uno stato di confusione mista a terrore: quella puttana aveva chiamato addirittura il pezzo grosso. Se quella cosa non fosse stata giudicata importante, Van Gleb si sarebbe sfogato su di lui, ne era sicuro. Si sentì rabbrividire al pensiero di quello che il vecchio gli avrebbe fatto. Probabilmente avrebbe dovuto cambiare lavoro: nell’équipe di Van Gleb chi si sbagliava – o chi cantava vittoria troppo presto – passava un bel numero di brutti quarti d’ora.
«Siamo sicuri che…» azzardò il giovane.
«Spero per lei che quello che ci ha fatto vedere sia significativo, altrimenti…» disse la Kamitz e si allontanò verso la sua postazione con un indecifrabile sorriso che pareva più simile a un ghigno che a un’espressione di gioia.
Mentre guidava, il vecchio, incartapecorito scienziato era in preda a un’eccitazione febbrile.
Cinquecento milioni di dollari spesi sinora e nessun risultato. Fino a quando quel pazzo cane rognoso di Habelhas avrebbe ancora pazientato? Due anni dopo la famosa riunione di Mirnij niente era cambiato: eppure lui era sicuro di aver fatto molta strada: anche se tecnicamente il virus non era ancora stato creato, tuttavia sentiva di essere vicino alla soluzione. Ma i messaggi rassicuranti non sarebbero più serviti molto a lungo. Con la sua glaciale, proverbiale freddezza, Habelhas gli aveva fatto capire che sarebbe stato opportuno avere qualcosa da mostrare alla prossima riunione intertematica. E, considerando come era finita quella precedente…
Van Gleb si sentì percorrere da un brivido gelato. Erano tutti scomparsi, tranne lui. E Habelhas ovviamente, e il suo spocchioso uomo ombra, il segretario, Oeyeff. Un inidivduo dal quale guardarsi, furbo come una volpe, un furetto nel muoversi, dall’aria apparentemente mite, era in realtà una carogna della peggior specie, senza coscienza, pronto a eseguire scientemente gli ordini del capo.
E chissà se anche lui stesso, il grande scienziato assoldato – o meglio coartato – dalla Fondazione, il virologo più grande di tutti i tempi, una volta terminato il lavoro di creazione del famoso virus cronosensibile, avrebbe fatto la stessa fine.
Van Gleb si sentì stringere lo stomaco. Aveva dato del tirapiedi a Oeyeff, ma in fondo lui che cos’era? La stessa cosa.
E adesso la segnalazione. Van Gleb non sapeva che cosa provare: se speranza che la situazione si sbloccasse o timore che la fine del lavoro fosse vicina.
Un’idea pazzesca, che da qualche tempo gli frullava per il cervello tornò a presentarsi vivida, ma egli la scacciò con spavento.
“E se comunicassi tutto in una rivista scientifica una volta trovato il virus? Habelhas non potrebbe più usare il virus e sarebbe fregato”.
Ovviamente questa cosa comportava una morte più o meno orribile, ma, a dire il vero, lui, van Gleb, alla morte aveva cominciato ad abituarsi, dal giorno in cui aveva accettato di lavorare in segreto per la Fondazione. E anche da quello in cui aveva capitro di essere vecchio.
Gli era stata negata la possibilità della trasmutazione e lui, in quanto microbiologo, sapeva benissimo che oltre una certa età la cosa diventava molto pericolosa. Aveva considerato di chiederla comunque una seconda volta, direttamente ad Habelhas dopo la riuscita del lavoro: se il bastardo avesse deciso di tenerlo in vita perché sarebbe potuto tornargli utile, forse qualche spiraglio si sarebbe aperto…
Decise che comunque avrebbe fatto le sue considerazioni con la provetta piena di crono virus in mano. Dopo tutto un’arma di ricatto ce l’aveva: ed era l’antidoto che lui si sarebbe premurato di preparare e di nascondere in qualche posto sicuro.
Arrivato davanti alla cancellata di sicurezza del bunker mascherato da deposito di autobus entro il quale stava il laboratorio, si fece riconoscere.
Una guardia con un pericoloso sguardo fisso lo fece riconoscere allo scanner biodigitale e aprì la triplice linea di cancelli.
Nell’ufficio di ricerca c’era una Kamitz eccitata e il dottorino Singh con un’aria terrorizzata.
Assunse il piglio più truce che riuscì a sfoderare e sibilò minaccioso, entrando senza neanche salutare: «Vediamo il grafico».
La dottoressa Kamitz si affannò su uno schermo tridimensionale: «Ho elaborato un olografico per mostrarle questa mutazione molto promettente» disse e indicò una matassa di fili luminosi organizzata su sei assi che si dipanva come una specie di rappresentazione di un cervello.
Van Gleb inforcò gli spessi occhiali da vista e si chinò su quella rappresentazione.
«Non mi dica niente, voglio valutare io, prima» disse sgarbato.
La sua attenzione venne attirata da una linea gialla che a un certo punto dell’andamento delle sequenze mutative spiccava il volo e andava a toccare insolitamente un glomerulo di linee viola e verdi fosforescenti.
«Ha visto che roba?» disse la Kamitz.
Van Gleb osservò ancora attentamente l’andamento della linea, poi si alzò e disse: «Chi l’ha notata?»
«Il dottor Singh. Fa parte della mia équipe» tenne a precisare orgogliosamente la dottoressa, spingendo avanti il giovane.
«Quando si è verificata questa… anomalia?» chiese rudemente il professore.
«Poco prima che finisse il turno, intorno alle 4 e 54. Era in corso la sequenza della duplicazione DNA 484 quando una proteina è come esplosa… c’è stato un lasso di assestamento e poi è venuto fuori questo» disse Singh con aria stanca.
Dopo aver riflettuto per qualche istante, Van Gleb disse alla Kamitz: «Tiri giù dal letto i cinque migliori analisti di laboratorio e fatemi uno screening completo. Lo voglio per la fine di questa mattina».
Poi fece per uscire dalla stanza: «Voglio essere aggiornato continuamente sui risultati delle analisi. Minuto per minuto. È della massima importanza, spero che lei lo capisca….» fece con malagrazia alla sua assistente. La Kamitz annuì.
«Ah, e complimenti per la sua osservazione» disse infine quando era sulla soglia, volgendosi a Singh.
Quando se ne fu andato Hisham era rosso per l’eccitazione: «Non va a dormire?» gli chiese la dottoressa.
«Adesso? Non se ne parla» rispose il giovane eccitato «Voglio essere presente anch’io alle analisi”.
La Kamitz si strinse nelle spalle, rassegnata.
«E mi ha anche fatto un complimento» disse Hisham timidamente.
La Kamitz alzò le spalle: «Non si monti la testa giovanotto. A volte essere nelle grazie dei capi è più una condanna che un fatto di cui andare orgogliosi»
«Sì, sì, ci siamo» disse il virologo scorrendo i lucidi delle analisi che aveva appena ricevuto dal laboratorio.
Ne mise due sullo schermo olografico e il disegno mostrava chiaramente che l’organismo aveva una sensibilità per le proteine che regolano l’orologio biologico di una creatura vivente.
In quel momento trillò il cellulare.
«Pronto?» fece distrattamente VanGleb.
L’auricolare rimase muto.
«Pronto?» disse nuovamente lo scienziato mentre un brivido gli corse lungo la schiena.
«Ho saputo che si trova in ufficio. Qualche novità?»
Era Habelhas. Van Gleb imprecò mentalmente. Dunque era circondato da spie. Dentro il bunker, Habelhas aveva qualcuno che lo teneva informato. Evidentemente non si fidava del suo virologo preferito, ma chi poteva essere a fargli da sorvegliante? La Kamitz? Quel dottorino, come si chiamava… Singh?
«Ancora presto per affermarlo con certezza. Ma questa volta… ho l’impressione che siamo molto più vicini» disse con un tremolio nella voce.
«Molto, molto bene. Sapevo che prima o poi lei ce l’avrebbe fatta» disse Habelhas all’altro capo del telefono manifestando una sincera soddisfazione. «Vogglio essere informato su ogni dettaglio. Arriverò domani. Nel frattempo lei mandi i dati, ovviamente secretati, a Oeyeff. Lui penserà a trasmettermeli»
«Vorrei avere un po’ di tempo per valutare tutti gli aspetti… la faccenda è complessa e ha risvolti… importanti. Bisogna essere prudenti» fece Van Gleb.
«Ovviamente. Si prenda il tempo necessario. Abbiamo aspettato tanto» disse con un punta di rimprovero «che qualche mese in più non fa differenza» e chiuse.
«Porco maledetto» sbottò Van Gleb buttando il cellulare sul tavolo. Cercò di concentrarsi nuovamente sui grafici delle mutazioni. Il lavoro della vita: la scoperta o meglio l’induzione alla cronosensibilità di un virus, una cosa enorme a livello scinetifico. Peccato che sarebbe dovuto rimanere tutto segreto. Niente pubblicazioni, niente conferenze, nessun annuncio alla comunità degli studiosi.
Prese i grafici e li spedì secretati alla segreteria della Fondazione, alla cortese attenzione del dottor Oeyeff. Quando dovette premere il pulsante di invio esitò, ma sapeva già che quei documenti sarebbero comunque stati inviati, in un modo o nell’altro. Non c’era possibilità alternativa.
«Che cosa ne pensa?» chiese Habelhas a Oeyeff che stava in piedi davanti alla scrivania del capo.
Oeyeff allargò le braccia, si schiarì la voce: «Finora Van Gleb è stato un uomo fidato. Non ha sgarrato di un colpo. Ha lavorato bene, anche se un po’ lentamente…» disse, centellinando le parole.
Habelhas sembrava assorto in altri pensieri.
«Non è un problema di tempo e neanche di costi. Del resto il compito che ha è un compito molto difficile. Non ne sottovaluto la complessità» replicò Habelhas. Tacque per qualche istante poi chiese a bruciapelo: «Ricorda Oppenheimer?»
Oeyeff strabuzzò gli occhi: «Il coordinatore delle ricerche sulla bomba atomica?» chiese.
Habelhas sorrise: «Proprio lui. Dopo avere inventato quell’arma micidiale venne sopraffatto dai sensi di colpa. Era uno scienziato, ovviamente. Non un politico» Habelhas si alzò per osservre i lucidi con i grafici attraverso il vetro della finestra: «Per quel che ne so questa potrebbe essere la gentile bomba atomica del nostro secolo. Ma i ripensamenti sono pericolosi. Sempre»
Oeyeff annuì: «Quanto c’è ancora bisogno di Van Gleb?» chiese freddamente.
Habelhas si voltò di scatto: «Signor Oeyeff. VanGleb merita tutto il nostro rispetto. È uno scienziato coscienzioso e un uomo molto fedele e utile per la Fondazione. Noi sappiamo premiare la fedeltà. Tuttavia continueremo a sorvegliarlo discretamente, per essere certi che il nostro denaro sia stato ben impiegato. Finché non avremo un prototipo stabilizzato non ci muoveremo. Quando avremo tutto sotto il nostro controllo, prenderemo una decisione»
Oeyeff si inchinò leggermente e uscì dalla sala. Habelhas riguardò i lucidi. Non sapeva molto di biologia ma compulsori statistici li aveva fatti anche lui in gioventù. E sapeva che quando una linea di trasmutazione assume un contorno come quello che aveva sotto mano, specie dopo tutti gli innumerevoli tentativi di induzione alla mutazione effettuati, non è per caso. Si sedette alla scrivania. Rimise tutto dentro una cartellina su cui campeggiava la scritta “Top secret”.
Dalla camicia trasse una chiave complicata che assomigliava a un ciondolo. Si alzò e la inserì in una fessura nel muro. Si aprì un ovale tra i fregi delle decorazioni parietali che celava una cassaforte. Si fece riconoscere con l’apertura iridale, collocò la cartellina sopra un panno rosso e richiuse tutto.
Adesso i tempi si stringevano. Se questo non era un falso allarme le cose sarebbero nuovamente ripartite. Sì, decisamente era ora che qualcosa si muovesse.
Il team degli scienziati era al gran completo nell’angusta sala riunioni. Van Gleb entrò con un passo affaticato e si lasciò andare sulla poltrona a capo del tavolo. Si massaggiò la fronte: non dormiva da venti ore e si sentiva la testa come dentro un barattolo su cui venivano dati continuamente dei colpi di bastone. Chiuse gli occhi: forse aveva fatto male a convocare quella riunione ma aveva deciso di dare una stretta ai lavori: prima sarebbe finita quella faccenda prima avrebbe smesso di essere terrorizzato per le possibili conseguenze dei suoi risultati.
«Voglio questa riunione perché dobbiamo essere tutti consapevoli degli obiettivi che abbiamo con questa nostra ricerca» prese a dire con voce roca, senza preamboli «Avrete certamente capito che stiamo lavorando sui meccanismi dell’invecchiamento umano e su come sconfiggerlo» mentì, «Abbiamo raggiunto un primo importante obiettivo. Siamo giunti quasi alla sintesi di una proteina direi ‘cronosensibile’ che cioè riconosce l’età di un organismo e si comporta di conseguenza con le cellule di tale organismo. L’abbiamo sviluppata atraverso lo studio di un virus che la sintetizza: ora dobbiamo assumerne il controllo. Lascio immaginare alla vostra fantasia la portata di questa scoperta, le sue possibili applicazioni… potremmo alleviare la vecchiaia delle persone quando non addirittura evitarla, migliorando il processo di trasmutazione che già oggi si pratica ma che è ancora tanto pericoloso e i cui meccanismi sono ancora tanto poco conosciuti».
Un mormorio si levò tra i giovani ricercatori.
Van Gleb li squadrò tutti, dal primo all’ultimo: «Voglio un ultimo rush finale per studiare il ceppo Hr848. La questione dovrà essere affrontata in modo interdisciplinare. Ogni specialista di campo dovrà lavorare a stretto contatto con tutti. Voglio che venga compreso fino in fondo il meccanismo di funzionamento del virus e della proteina che sintetizza. Parallelamente voglio che d’ora in avanti vengano prese eccezionali misure di sicurezza per isolare la sezione centrale dei laboratori dall’esterno. Non devo certamente dire a voi che cosa potrebbe succedere se qualcosa andasse storto e il virus in questione venisse liberato. Non sappiamo che cosa produce, se porti qualche strana malattia. Per salvaguardare il segreto inoltre, vi ricordo che tutti questi studi sono finanziati da ua Fondazione privata e vi comunico che a partire da adesso tutti i permessi di uscita sono sopesi fino alla conclusione del lavoro»
Alcuni giovani protestarono ma Van Gleb li zittì: «Dovete sentirvi fieri di far parte del miglior gruppo di biologi sperimentali del mondo e questo onore val bene qualche giorno di permanenza coatta qui dentro. Non tollererò violazioni: il servizio di sicurezza ha già provveduto a chiudere tutti gli accessi»
«Insomma siamo prigionieri qui dentro…» disse vivacemente uno dei più giovani.
«Le vostre famiglie sono già state avvertite che non sarete raggiungibili per qualche tempo»
Van Gleb attese che le acque si calmassero: «Questo è tutto. Prima concludiamo lo studio e prima sarete liberi di tornare a casa» disse infine chiudendo quella riunione.
«Se vi sarà permesso di tornare a casa» concluse da solo quando la saletta fu vuota.
Isham provava un sentimento assai simile al puro terrore. Aveva ricevuto la convocazione quindici minuti prima: Van Gleb voleva vederlo. Urgentemente.
Così si era lavato in fretta e furia, aveva indossato la divisa e si era precipitato nel blocco D 14, dirigenziale, quello interdetto a tutti.
Dopo essere fatto spogliare, essere stato perquisito e fatto rivestire con abiti nuovi era stato scortato da due guardie fino a una saletta d’attesa molto lussuosa, pur nella sua essenzialità.
Isham si guardava intorno pieno di soggezione: era la prima volta ad essere ammesso nel quartiere di presidenza.
Improvvisamente una luce verde si accese e fu invitato da una delle guardie a oltrepassare la porta dell’ufficio di Van Gleb.
Il vecchio era seduto alla scrivania, immerso nello studio di ologrammi tridimensionali che fuoriuscivano da uno schermo diottrico un po’ antiquato ma dalla straordinaria precisione. Isham riconobbe il suo ultimo lavoro di sintesi biometrica sull’H484.
Van Gleb non mostrò di accorgersi della presenza di Isham fin quando, senza staccare gli occhi dalla rappresentazione che ingrandiva e rimpiccioliva con un tocco delle dita, disse: «Buon lavoro, giovanotto»
La voce era roca e tradiva una grande fatica. D’improvviso spense lo schermo. Aprì il cassetto della scrivania, aprì il cassetto, ne trasse un minuscolo infodernoma, lo accese, si assicurò che fosse in funzione e silenziasse ogni tipo di intercettazione possibile, e fece cenno al giovane ricercatore di avvicinarsi.
«Abbiamo poco tempo» mormorò «Quanto precisi sono questi calcoli?»
Isham si guardò intorno disorientato, si riprese e disse: «95 per cento corretti»
Van Gleb assentì, poi fece cenno di avvicinarsi: «Abbiamo un metodo di annullamento dell’effetto virale?» sussurrò.
Isham si guardò nuovamente intorno: perché Van Gleb si comportava così? Esitando rispose, abbassando la voce: «C’è una contro proteina promettente, ma prima…»
«Lo so bisognerebbe sintetizzare una copia completa» concluse Van Gleb interrompendo il ragazzo. Scosse il capo: «Io e lei corriamo un pericolo mortale» disse dopo qualche secondo di esitazione.
«Cioè?» chiese il ragazzo.
«Non dia a nessuno l’antidoto. O meglio lo nasconda, nel posto più improbabile. È la nostra unica risorsa. Per salvarci, dico. Non lo dia…» In quel momento la porta dello studiolo venne sfondata con un botto assordante. Van Gleb saltò via dalla sedia della scrivania afferrando uno sparacapsule ma prima che potesse innestarlo si immobilizzò di colpo gorgogliando una parola in uno sbocco di sangue che gli uscì dalla bocca. Lasciò cadere lo sparacapsule mentre si abbatteva sulla scrivania. Intanto due individui vestiti di nero afferrarono Isham impedendogli di fuggire.
Entrò un terzo individuo e fece cenno ai due energumeni di farlo sedere. Spostò con un calcio la sedia a rotelle su cui si era accasciato Van Gleb, spense l’infodernoma e si appoggiò alla scrivania. Squadrò ben bene il giovane: «Il piccolo genio della biologia» disse in tono ironico.
Isham era immobile, in preda al più puro terrore e ogni tanto lanciava qualche occhiata al corpo di Van Gleb, contorto e immobile a terra.
Anche l’individuo davanti a lui lo guardò poi sorrise: «Non commetteremo il suo errore, vero? Abbiamo ancora bisogno di lei, dottore. Da adesso lei è il nuovo direttore per il completamento del programma. In quanto tempo potremmo avere un prototipo completo?» chiese, dando una gran manata all’infodernoma di Van Gleb e frantumandolo in minuscoli pezzi che volarono tutti d’intorno.
Isham balbettò: «Non saprei… occorre ancora…»
L’uomo fece un gesto infastidito: «Si prenda il tempo necessario. Non troppo. Ma soprattutto» e qui si avvicinò al volto di Isham «Non dimentichi l’antidoto. Il denaro che lei usa per questa ricerca è nostro. E noi soli vogliamo sfruttare il prodotto. Tutto il prodotto: virus e rimedio. È una questione di principio, ne conviene?»
«S-sì» disse Isham frastornato.
«Bene. Da oggi ovviamente lei percepirà lo stipendio del professor Van Gleb, stroncato da un infarto per la troppa tensione subita in questi mesi. Sono stato chiaro?» disse l’uomo sempre sorridendo. A un suo cenno del capo entrarono altri due energumeni che sollevarono il corpo del vecchio scienziato e lo portarono fuori.
«Si sieda prego, si sieda» disse l’uomo, asciugando qualche goccia di sangue dalla scrivania «Adesso lei è il numero Uno. Una bella responsabilità, che ne dice?»
Isham si sedette tremando: «Io…»
«Contiamo su di lei» disse l’uomo sulla soglia della porta, puntandogli uno sparacapsule e facendo “Ffssst”. Poi si voltò e se andò seguito dai due energumeni.
Immediatamente trillò il telefono.
Isham, ricevette la comunicazione, esitante: «Professore Isham Singh?» fece una voce morbida all’altro capo del telefono.
«Sono io, ma non…» disse Isham.
«Buongiorno. Mi presento: sono George Habelhas. Presidente della Fondazione per La Normalizzazione della Terra. Il vostro finanziatore insomma. Non faccia il modesto professore: il titolo se l’è guadagnato sul campo. Sono rimasto così affranto dalla notizia della morte improvvisa del professor Van Gleb… Non ci conosciamo ancora di persona ma avrei piacere di parlarle.»
«Io…»
«Capisco la sua sorpresa, ma siamo rimasti impressionati dalla sua abilità. Ho visto l’ultimo suo rilevamento biometrico… quello di questa sera… straordinario. Davvero. Molto esauriente e completo»
Ultimo rilevamento biometrico? E come facevano a possederlo? Lo aveva inviato solo a Van Gleb poche ore prima. Che il vecchio glielo avesse girato? Eppure l’ultimo loro colloquio… Improvvisamente fu scosso da un brivido.
«Domani mattina alle otto sarò lì da lei»
«Va bene…» disse Isham.
«Naturalmente vista anche la piega che hanno preso i fatti… consiglierei, anzi vi inviterei caldamente a riconfermare l’ordine di isolamento emanato da van Gleb su mio suggerimento. Le cose si evolvono in fretta e noi abbiamo bisogno, per motivi che lei ben comprenderà, di mantenere un assoluto segreto su questa ricerca. Non ho bisogno di dirglielo, vero?» e il tono di questa domanda divenne improvvisamente perentorio e durissimo.
«C-certamente, comprendo. Se può venire a spiegarmi qualcosa domattina…» disse Isham sospirando.
«Bene, bene. Ero sicuro che ci saremmo intesi. Arrivederci. E ancora, complimenti per la promozione.»
La comunicazione venne interrotta seccamente.
La porta dell’Ufficio si spalancò di colpo. Una Kamitz furente entrò nell’ufficio. Vedendo Isham seduto alla scrivania si arrestò di botto, annientata dalla sorpresa. Poi si riebbe: «Una carriera rapida…» disse amara «Dovevo immaginarlo»
«Io non so niente mi sono trovato in questa situazione…» fece piagnucoloso il ragazzo.
La Kamitz scosse il capo: «Non dica che non gliel’avevo detto quando si troverà nella merda. A volte la predilezione dei capi è una maledizione…» masticò amara, e, senza dire altro se ne andò dall’ufficio sbattendo la porta.
Isham rimase a lungo silenzioso, seduto sulla poltrona.
Il ronzio monotono dei macchinari che regolavano l’aerazione del bunker si udiva in lontananza.
Singh si massaggiò le tempie, si guardò intorno, prese un faldone che campeggiava sulla scrivania, accese lo schermo e attivò la rilevazione che il professore stava esaminando mezz’ora prima.
Mezz’ora: un insignificante lasso di tempo in cui però tutto era cambiato.