Storie della Fondazione per la Normalizzazione della Terra – Episodio 7
«E questa è la chiesa principale. Romanico puro… come potete vedere le colonne sono di alabastro. Guardi signore… trasparenti ai raggi» Il monaco accese una torcia elettrica e la mise dietro una colonna che si illuminò lasciando trasparire la luce.
Habelhas guardò condiscendente il fenomeno e annuì brevemente: «Vorrei sentire l’acustica» disse.
Il monaco sorrise e annuì: «Chiamo il coro» e si allontanò zoppicando.
Habelhas si sedette in un banco e contemplò l’abside bianca. Con lo splendido deambulatorio che la abbracciava con le sue colonne. I suoi capitelli tutti diversi.
«Armonia estrema» disse sottovoce, parlando a se stesso.
Dalla porta della sacrestia entrò il coro, formato da quindici monaci con il saio scuro e tre ragazzi con una tonaca bianca più corta.
«Il coro si posizionerà nel punto ottimale» disse sussiegoso il monaco che guidava la visita.
Tutti i cantori sparirono in una porticina che nascondeva una scaletta stretta, interna al muso di facciata della chiesa.
Dopo qualche minuto una melodia cominciò ad aleggiare tra le volte. Habelhas fu colpito dall’etereità di quel suono. Sembrava piovere direttamente dal cielo ed era impossibile identificarne la fonte.
Quando i cantori finirono la loro esibizione ricomparve il monaco.
«Molto significativo. Sono rimasto colpito» disse Habelhas.
«Un piccolo segreto. Ogni chiesa di questo periodo ha un luogo detto ‘punto moltiplicatore’. Quando si canta in quel punto le voci si moltiplicano. Ce l’ha indicato un frater viaggiante, un monaco itinerante che si occupa di queste cose e che è stato qui qualche anno fa» disse la guida.
Habelhas fece un cenno con il capo: «Sono quasi convinto» disse infine.
Il monaco sorrise: «Sarebbe la salvezza. Edifici come questo hanno costi proibitivi per noi»
Habelhas annuì: «Il luogo ha tutte le caratteristiche di cui abbiamo bisogno. Isolamento, pace, serenità, e una comunità che potrebbe continuare a mantenere vivo il sito»
I due stettero qualche attimo in silenzio. Poi il monaco si schiarì la voce: «Non sarebbe tuttavia un acquisto, se ho ben capito?»
Habelhas alzò le mani: «No, assolutamente. Noi acquisiamo il diritto di uso di una parte della Certosa. Quella che mi pare attualmente sia chiusa. La proprietà rimane a voi»
«Sarebbe un contratto temporaneo?» insistette il monaco.
«Ci serve per qualche anno» disse Habelhas «Naturalmente noi interverremo durante questo periodo… immagino che un restauro completo potrebbe essere indispensabile»
Il viso del monaco si illuminò: «Un restauro andrebbe benissimo… questo è un patrimonio dell’umanità…»
Habelhas represse un sorriso che assomigliava più a un ghigno: «E poi ci sarebbe la cifra che vi verseremmo annualmente: andrebbero bene cinquecentomila?» chiese, noncurante.
«Cinque… accidenti» la voce del monaco si strozzò.
«Posso arrivare fino fino a settecentomila. Non di più. Mi dispiace, ma il periodo non è semplice anche per noi»
«Settecentomila vanno benissimo» si affrettò a dire il monaco. Naturalmente devo sottoporre il tutto al capitolo della Certosa.
«Ancora una cosa: sarebbe ottimale che voi diventaste l’abate in questi anni… faciliterebbe assai i nostri rapporti…» fece Habelhas abbassando la voce in modo insinuante.
L’altro si agitò: «Non dipende da me ma potrebbe essere una cosa possibile. Tra due mesi abbiamo il capitolo e la carica dell’attuale abate termina…»
Habelhas sorrise, si alzò dal banco, si avvicinò al monaco e gli diede un colpetto sulla spalla: «Allora siamo d’accordo. Aspetto sue notizie»
Il monaco si profuse in inchini e accompagnò Habelhas al grande portale. Fuori, un’auto con i finestrini oscurati lo aspettava.
«Andiamo» fece all’autista che non appena lo vide gli aprì il portello posteriore.
Quando fu sopra Habelhas si rilassò.
«Com’è andata?» chiese l’autista che conduceva l’auto attraverso i tornanti della strada d’accesso alla Certosa.
«Bene come sempre» fece Habelhas distratto «Quando c’è denaro a disposizione, va sempre bene»
L’auto imboccò la strada provinciale che si snodava tra le montagne e si tuffava su un costone disegnando ampie curve e tornanti.
«Non vada troppo veloce, Boris. Voglio godermi il panorama» disse Habelhas.
«Certo signore» fece l’autista.
La strada scendeva tortuosa verso il fondo della valle, dove passava l’arteria principale che la attraversava tutta.
«Non capisco il senso di questo posto. Non c’è niente qui» disse d’un tratto l’autista.
Habelhas non rispose immediatamente.
«Il principio è quello della dispersione. Se la faccenda inizia in Brasile, il suo coordinamento iniziale deve essere come minimo in Europa. Mi pare significativo che sia in un convento. Non condivide questa idea?»
Oeyeff scosse il capo: «Non daremo troppo nell’occhio?»
Habelhas lo guardò meravigliato: «Una grande istituzione internazionale filantropica che si occupa del restauro di una delle Certose più belle dell’Austria non da nell’occhio»
«Mi preoccupa il seguito» insistette l’autista.
«Quale seguito? I convegni che organizzeremo per celebrare l’arte di queste valli?» disse Habelhas ironico.
«È un azzardo» disse Oeyeff.
Habelhas si strinse nelle spalle: «La cosa è talmente enorme che mi sento di farlo questo azzardo. Non ci saranno sospetti. E se qualcuno vorrà metterci il becco agiremo come abbiamo sempre fatto» tagliò corto il passeggero.
«E con questo l’accordo è stipulato» disse Habelhas.
Ripose il foglio firmato dal nuovo abate della Certosa in una cartella che richiuse.
Poi estrasse una busta dal taschino interno della giacca: «E qui c’è la prima tranche. Trecentocinquantamila, come d’accordo» e porse la busta all’abate.
Questi la fece sparire nella tasca del saio: «Adesso che cosa succederà?» chiese.
Habelhas alzò le spalle: «Potremmo organizzare un evento per presentare il progetto di restauro. Qualcosa di grosso. Tra un paio di mesi: che ne dice, padre?»
Questi sorrise nervoso: «Noi vogliamo vivere nel nascondimento…» sillabò.
«Benissimo. Non vi farete vedere. Reclamo solo la sua presenza quando verranno le autorità… un piccolo sacrificio per la vostra causa» fece Habelhas noncurante.
«Beh, se si tratta di un sacrificio… allora lo farò» si arrese il monaco divenuto abate.
Habelhas fece un cenno di conferma: «Avremo bisogno di un’ala dell’edificio per l’organizzazione. Qual è la parte più in disuso?»
«La foresteria…» disse l’abate dopo aver riflettuto qualche istante.
«La prossima settimana verranno degli operai a rimetterla provvisoriamente in sesto per ospitare qualche ufficio»
«Lavoreranno qui tante persone?» chiese allarmato l’abate.
«Voi non vedrete nessuno. Ovviamente se non andrete proprio nella foresteria» concesse Habelhas «Cercheremo di limitare al massimo il fastidio che vi dovremo dare. Potrete continuare indisturbati la vostra vita di meditazione e di preghiera»
L’abate annuì rassicurato.
«D’altra parte» proseguì «Se avete bisogno di qualcosa non esitate a farlo presente. Non saremo visibili ma se dobbiamo aiutarvi siamo presenti. Assolutamente»
L’abate si inchinò leggermente: «E il restauro?» chiese subito dopo.
«Per questo dovremo darvi qualche incomodo, anzitutto nella fase di progettazione. La Commissione si formerà la prossima settimana: voi ovviamente ne farete parte. Sarà formata dai migliori esperti mondiali di questo settore. Avvieremo una serie di riunioni funzionali in modo che nel più breve tempo il progetto sia steso. Penseremo poi noi a tutte le approvazioni del caso presso le istituzioni che se ne occupano. Penso che in quattro o cinque anni potremmo concludere i lavori»
«Così poco tempo?» domandò l’abate.
Habelhas sorrise: «Se lavoreremo bene anche di meno»
Queste parole erano suonate come un congedo e l’abate si inchinò appena prima di uscire attraverso il pesante portone che dalla sala capitolare immetteva nel chiostro.
Habelhas attese che fosse uscito, quindi si diresse verso la porta opposita che dava su un cortile interno della Certosa, dal lato della foresteria.
Le mura erano state imbrigliate in una morsa di ponteggi che arrivavano sino al tetto per la parte interna. Venne raggiunto da Oeyeff non appena sbucò nel cortile.
Fece un cenno ai ponteggi: «Non saranno troppo visibili? In fondo il restauro deve ancora partire» disse.
Habelhas non rispose mentre camminava sullo stretto sentiero di ghiaia che conduceva all’ingresso della Foresteria. Infine sillabò un: «Lavori che non possono essere differiti. E poi i ponteggi sono sul lato interno. Dall’esterno non si vede niente»
«Sarà…» fece scettico Oeyeff «Ma qualcuno che vede e parla c’è sempre»
Habelhas sorrise: «Voci. In realtà la Foresteria stava per crollare. Bisognava puntellarla»
Oeyeff si voltò accigliato: «Ma non è vero» disse.
«Ovvio» fece di rimando Habelhas «Ma se qualcuno parla qualcun altro metterà in giro questa voce. Voce pareggia voce»
Oeyeff si strinse nelle spalle: «Sarà. Però questa faccenda è maledettamente importante»
I due avevano raggiunto un pesante portone di legno scolorito dal tempo. Habelhas osservò gli intagli di legno che istoriavano una delle due ante: «Sono rovinati» disse.
Il corridoio interno della Foresteria era pieno di operai che raschiavano le pareti, scrostavano intonaci e installavano impianti.
«L’importante è che quel tipo, l’abate, non venga qui prima dell’inaugurazione» disse Oeyeff.
Habelhas si guardò intorno e si diresse verso un uomo in camice che portava un caschetto di protezione: «Ingegnere, il portone va rimesso a nuovo» disse gentilmente con un tono di comando.
«Certamente signore» rispose quegli ossequioso.
Poi rivolgendosi a Oeyeff, non appena il capomastro si fu allontanato: «Mettete qualcuno con una pistola nel cortile. Un guardiano grosso. Quelli non appena vedono un’arma spariscono» disse riferendosi ai frati.
Oeyeff sorrise e annuì.
I due proseguirono lungo il corridoio sino a un ambiente molto ampio, affrescato che era stato appena ripulito e rimesso a nuovo con una scrivania monumentale e poltrone in stile con le pitture sulle pareti.
Habelhas si sedette sulla poltrona girevole dietro la scrivania e osservò gli stucchi del soffitto: «Mi piace questo posto» disse. Indicò un vasto affresco su una parete laterale, dove si vedeva un apostolo conversare con un ecclesiastico: «Sa chi è ?» chiese a Oeyeff.
Quegli si schermì: «Assolutamente no»
«Questo è uno dei motivi per cui ho scelto questo locale per il mio ufficio. Lui è Innocenzo XIII. E l’apostolo con cui conversa è San Tommaso»
Oeyeff lo guardò disorientato.
«La ragione di Stato e l’incredulità legittima. Una surrettizia allusione alla natura di questo nostro progetto. Penso che questo sia il luogo ideale per le decisioni che dovremo prendere» disse Habelhas.
«Ha intenzione di stabilirsi qui? Non mi pare molto sicuro» obiettò il segretario.
Habelhas sospirò: «Sarà sufficientemente sicuro per il tempo che sarà necessario. Soprattutto gli inizi. Questo sarà il quartier generale. Copriremo i movimenti di scienziati con grandi iniziative culturali» disse freddamente. Oeyeff annuì e stette in silenzio.
Habelhas si distese sulla poltrona: «Il tempo sta per scadere. In qualche modo oggi abbiamo fatto partire il conto alla rovescia. Questo quartier generale deve essere pronto entro due mesi. A prova di tutto. Tra due mesi ritorneremo e vedremo. Gli studi di Singh ormai sono avanzati e affidabili. La squadra di partenza è quasi formata e sappiamo anche i luoghi. Manca qualche dettaglio ma siamo arrivati al dunque»
Oeyeff pareva preoccupato. Habelhas chiuse gli occhi come se faticasse a rimanere sveglio. Il segretario lo guardò preoccupato.
«Non ci pensi neppure» disse d’un tratto Habelhas «Sono perfettamente lucido e cosciente»
«Non oserei mai…» balbettò Oeyeff.
Habelhas aprì gli occhi: «Questo luogo induce alla concentrazione. È assolutamente adatto. Ne sono sempre più convinto. Tutto questo ha una sua sacralità, Boris»
Oeyeff non disse nulla. Qualche istante dopo Habelhas si riscosse: «Qui adesso non possiamo fare più nulla. Dobbiamo attendere che i lavori del cantiere giungano a un punto tale da rendere l’edificio efficiente. Solo allora trasferiamo qui poco per volta il quartier generale. Senza dare nell’occhio»
«È proprio questo ‘non dare nell’occhio’ che mi preoccupa. Non so. Ho come la sensazione che qualcosa debba andare storto» lamentò il segretario.
Habelhas lo guardò perplesso: «Lei non è uomo da badare alle sensazioni. Se ha qualche impressione vuol dire che c’è almeno un motivo razionale per cui un dubbio si affaccia al suo pensiero» disse neutro. Poi si alzò dalla poltrona, raccolse alcune carte dalla scrivania, le ripose nella sua borsa e si fece portare l’impermeabile.
«Dove andiamo?» chiese Oeyeff quando furono sull’auto parcheggiata nel garage sotterraneo.
Habelhas sospirò: «Usciamo di qui. Devo ancora decidere. Ho un paio di cose che devo fare per oggi»
A mano a mano che la Certosa si allontanava la strada si dipanava tra curve e ripide discese.
«Ricordiamoci di far asfaltare questa carrareccia. Sembra una strada abbandonata» disse infine quando giunsero al bivio che immetteva sulla strada provinciale del fondovalle.
Oeyeff fermò il veicolo e stette in silenzio senza dire nulla.
«Devo decidere, vero?» chiese Habelhas.
«Attendo ordini» replicò neutro il segretario.
«Andiamo a Vienna, all’aeroporto. Fate arrivare lì il mio jet privato. Quanto ci vuole da qui a Vienna?»
«Circa due ore» rispose Oeyeff avviando l’auto.
Habelhas annuì e armeggiò con il cellulare. Quando ebbe terminato, lo posò in borsa. Chiuse la cerniera con uno scatto: «Potrebbe mettere Janacek, per piacere?» chiese.
Oeyeff accese il riproduttore.
«Credo che riposerò un poco. Adesso comincia la parte complessa del piano. Conviene arrivare a Vienna con la mente lucida» fece Habelhas, poi lasciando quasi cadere il capo in avanti si abbandonò a un sonno senza sogni.