Quattordicesimo racconto dei tarocchi – La temperanza
Ogni volta che Anita vede Angel viene presa da un capogiro leggero.
«Mi sembra ancora impossibile» pensa tra sé e sé mentre va incontro al suo sorriso calmo e smagliante. E ripensa alla sua vita.
Come può essere riuscita a vincere la terribile catena di sfighe che ha tirato sua madre fino al punto in cui è arrivata… Povera donna sfatta, dalla voce rauca per il fumo e le rabbie e le avversità.
Metti da una parte la lurida casa in cui vivi, il lercio quartiere in cui abiti, gli stronzi amici che hai e dall’altra metti Angel. Il ragazzo perfetto.
Non beve, non fuma, non è un porco. Ti rispetta. Una cosa che Anita non riusciva neanche a concepire. Prima.
E adesso, sta lì appesa a un filo, in ambasce ogni volta perché si immagina che cosa potrebbe facilmente succederle, una volta che Angel la conosca meglio.
«Puttana!» sente già l’insulto sottile, gelido che si infila nel suo cuore spezzandolo definitivamente.
Del resto lei che cosa è? Una puttana, appunto. Se non di mestiere, almeno di fatto.
Anita sospira prendendo la mano fresca di Angel. Quella mano meravigliosa, aristocratica. Nella sua. Finché dura.
«Dove vuoi andare Anita?» le chiede lui.
Quasi non osa rispondere: «Come vuoi tu. Dove vuoi tu»
Angel sorride e scrolla il capo. Si ferma, le si fa davanti e le prende il volto tra le mani: «Anita, non devi avere paura» le mormora baciandole la guancia.
Nessuno l’aveva mai trattata così. L’unica cosa importante per tutti quelli che aveva incontrato prima erano le sue mutandine. Meglio ancora se non le aveva.
Lui no. Lui LE PARLA. Le chiede che cosa vuole.
«Vorrei andare in un Museo» dice timidamente.
«Quale?» chiede lui.
«Uno dove ci siano dei quadri» dice timidamente lei, fuggendo il suo sguardo, «Da piccola una volta sono andata a vederne uno con la scuola. C’erano delle cose bellissime»
Arrivano al Metropolitan Museum. Lui le paga il biglietto ed entrano nella hall enorme, piena di gente che parla sottovoce.
Anita si guarda intorno smarrita. Poi si ferma e si nasconde dietro una colonna.
«Che c’è?» le chiede Angel paziente, seguendola.
«Andiamo via. È come sono vestita…» dice accennando alle vistose calze a rete, agli stivaletti chiari, alla minigonna vertiginosa.
«In effetti…» ammette lui, poi come colpito da un’idea la prende per mano e la porta verso l’uscita «Ho un’idea» dice.
«Dove andiamo?» chiede Anita incuriosita.
Davanti al Museo c’è un negozio lussuoso di vestiti lussuosi.
Quando entrano la commessa volge il suo sorriso alla bellezza di Angel. Quando si accorge della sua compagna le labbra si piegano in una smorfia di derisione, no, di compassione.
«Che cosa desidera?» chiede ad Angel, ignorando Anita.
Lui si volta verso di lei: «Scegli quel che vuoi. Non voglio che ti senta in imbarazzo per il vestito» le dice.
Immersa tra quei tessuti che non ha mai osato neanche sfiorare, Anita sceglie un tailleur sobrio. Non ha mai avuto un tailleur, una cosa che tutte le sue amiche sbeffeggiano come un abito da nonna. Ed eccolo adesso perfetto per lei, tinta pastello, non vistoso ma elegante.
«Tienilo addosso, per piacere» dice Angel mentre paga e Anita vede un’altra Anita uscire dal negozio, una giovane donna che ha un aspetto quasi rispettabile.
«Facciamo un’acconciatura adatta» dice Angel alla commessa del negozio di parrucchiera che si avvicina non appena entrati.
Ancora. Angel. Il suo Angel che la vuole bella. E lei si siede sulla poltrona e per la prima volta nella sua vita si lascia nelle mani esperte di una parrucchiera vera che comincia a disfare l’orribile mucchio di capelli sboccolato con ciuffi colorati.
Opera di Myrna, quella che va in giro a dire a tutti che lei avrebbe fatto la pettinatrice se avesse potuto.
Che risate, ora. Adesso che ne ha vista una vera di pettinatrice.
Anita ridacchia sulla poltrona. Angel è andato a bersi un caffè al bar di fronte mentre aspetta che l’opera sia finita.
Alla fine ecco la nuova Anita rinata sulle ceneri di quella fricchettona con gli scarponi che aveva accolto il suo Angel sulla piazzetta dell’appuntamento.
«Museo?» le chiede lui.
Lei fa cenno di sì con la testa.
Entrano nuovamente, lui paga il biglietto e cominciano il giro.
Ogni quadro per Anita è una sorpresa. Uno squarcio di bellezza, dai paesaggisti agli astrattisti, un modo di vedere le cose che la lascia interdetta.
Finché giungono alla sala centrale.
Angel a questo punto comincia a essere irrequieto.
«È meglio se lì non andiamo» dice.
Anita fissa i suoi occhi azzurri, la sua bocca profumata. Scuote il capo: «E perché?»
Angel evita di risponderle e tira dritto, ma adesso Anita è curiosa. Mentre passano davanti all’ingresso, con la coda nell’occhio sbircia la nicchia seminascosta nella quale campeggia una statua in marmo, a corpo intero.
Rimane a bocca aperta. Dimentica tutto ed entra nella sala.
Quella statua rappresenta, nudo e perfetto, il corpo di Angel.
Questi alza gli occhi al cielo: «Ci risiamo» geme.
Anita volta lo sguardo dall’Angel in carne ed ossa a quello scolpito nel marmo, poi si avvicina alla targhetta.
«Adone. Quarto secolo avanti Cristo» legge spaventata.
Angel rimane lì con un sorriso stolido. Poi si riprende: «Te l’avevo detto di non venire qui dentro» dice e comincia a spogliarsi. Quando è nudo, piega maglietta e pantaloni, si volge verso Anita, le manda un bacio con la punta delle dita ed evanesce mentre si confonde con la statua.
Anita rimane sbigottita. Improvvisamente entra un guardiano: «Signorina?» le chiede vedendola così smarrita, «Sta bene?»
Anita si tocca il tailleur fragrante appena comprato: «S.. sì credo»
«Stiamo chiudendo…» le dice, invitandola a uscire. Si arresta di botto vedendo i vestiti piegati ai piedi della statua.
«Di nuovo…» impreca.
Li raccoglie e se ne va scortando Anita all’uscita che si volta ancora una volta per guardare il suo Angel così marmoreo e perfetto.