Eccola finalmente la mia Arcadia.
Arcadia.
Arcadia.
Quale calore in questo nome, così caro e così venerato.
E anche così agognato e difficilmente ottenuto. Forse non per merito mio. O forse anche un po’: lo decideranno i posteri.
E adesso che ci sono quasi sono non posso che godermi questa beatitudine. Questo meraviglioso melange di mistica religione e di amore puro per le creature divine che popolano questa terra.
Come al solito è un problema di conciliazione. La limitatezza dell’esistenza umana, così legata al tempo e alla misera concatenazione di cause ed effetti porta a una visione del tutto distorta delle cose. Così limitatamente distorta che per molti è l’unica possibile: un po’ come la scienza che ragiona sull’evidenza, anche se l’evidenza, per noi, è quella determinata da sensi molto modesti e mal funzionanti, per lo più.
Il problema è dunque emanciparsi, andare oltre.
Nella mia vita di studioso ho incontrato molti ottimi che hanno cercato l’oltre. In modi diversi, alcuni più originalmente, altri più prudentemente ma la spinta era sempre la stessa.
Qualcuno è diventato un grande mistico, qualcun altro un demonio in terra, ma la loro ricerca, pur sincera è risultata sempre casuale, non indirizzata, illuminata a tratti dalla lascivia autodeterministica – leggi orgogliosa, spinta dalla vanità – di quella che comunemente viene chiamata arte.
Io ho una pessima e sublime al tempo stesso concezione dell’arte.
Vi spiego perché: pessima dal momento che l’arte alimenta ed è alimentata generalmente da un ego possente e infantile, chiuso in se stesso, fautore di pensieri circolari, per lo più ciclodepressivi – o cicloesaltati che è lo stesso – incapace di uscire dalla pericolosa commistione di vanità e arroccato egoismo.
Sublime perché di fatto l’arte è stata l’unica via che la mente ha avuto, fino ad oggi, di immaginare tale ‘oltre’ al quale ha sempre agognato – e sempre agognerà – e di esprimerlo, o meglio di tentare di esprimerlo.
Fino ad oggi.
Io ho sempre detto che semmai un giorno avessi intrapreso la strada per arrivare davvero là, in quella dimensione ultraumana, dico – l’avrei fatto in modo metodico e concretamente pratico.
E così ho fatto. Partendo dalla realtà della nostra povera mente umana per potenziarla e aprire il varco.
Inoltre ho sempre compreso che se i nostri sogni nascono con il nostro linguaggio bisognava partire dal linguaggio per effettuare un percorso reale.
Così ho dato un nome alla dimensione.
In realtà non ho creato nulla di nuovo perché molti sono partiti da lì, anche se poi tutti si sono incagliati durante il percorso. Quelli che sono arrivati, non sono certo tornati indietro per raccontarcelo, quindi…
In antichità questa dimensione veniva chiamata Runi, o Rouni o Ranj, piccole distorsioni che ricreavano comunque lo stesso ‘cammino’.
Più vicino a noi nel tempo un nome molto efficace, cantato da molti, è stato Arcadia.
E di qui io sono partito.
Tutti desiderano arrivarci, senza dimenticare che Arcadia anzitutto va creata. Ecco il primo paradosso: la dimensione che vogliamo, dobbiamo per prima cosa modellarla: molti invece partono convinti di dover raggiungere qualcosa che esiste indipendentemente da loro stessi.
Primo errore, grossolano che rende inutile qualsiasi sforzo.
È così che mi sono dovuto immaginare Arcadia, costruire nella mia mente a poco a poco una dimensione, badate bene, NON un luogo, NON una meta.
È difficile da spiegare. Chi è ancorato al tempo e allo spazio, sa che non si può andare in un posto che non c’è. Ma al di fuori dello spazio e del tempo gli spazi ci sono già tutti in forma di possibilità. Così ho dato possibilità alla mia Arcadia – che è in realtà l’Arcadia di tutti – con l’immaginarla nel modo più compiuto, sforzandomi però di astrarmi dalla brutta copia di un’utopia semplicemente legata a me stesso o alla mia mente. È in questo modo che il cortocircuito con l’eternità nella quale siamo immersi e che contiene già, compressi in un piccolo punto che è tutto l’universo, tutti gli universi possibili diventa miracolosamente attivo modellando il cosmo in mirabile coabitazione con gli universi potenziali materializzati da tutte le menti senzienti di cui è formata la nonmateria vitale.
Arcadia Arcadia Arcadia.
Sannazzaro ha descritto in modo possente l’Arcadia. Nel prologo all’opera che più ha influenzato la visione di Runi o di Arcadia afferma con convinzione di aver udito cantare i pastori di Arcadia sotto le dilettevoli ombre e al mormorio de’ liquidissimi fonti. Non possiamo dubitare di questo fatto: NON era una pretesa letteraria questo udire il canto dei pastori, era realtà, piena realtà penetrata da una mente superiore. Certamente egli è stato, fisicamente, nella dimensione così affascinante immaginata dalla sua mente, ha visto i pastori, i piani con le erbette, e i ruscelli, e gli alberi strani sotto il monte Partenio, naturale scenario delle loro contese e dei loro canti. Dodici erano le essenze ch’egli ha indicato per la costruzione del vero giardino: abete, quercia, frassino, platano, pioppo, castagno, bosso, pino, faggio, tiglio, tamerisco, palma e, al centro, cipresso.
Alberi che si vedono nella rappresentazione favolosa di Arcadia di Thomas Cole, laddove sulla collina retrostante al parco dei Pastori v’è un tempio circolare che ricorda Stonehenge, con un gran falò che arde al centro del circolo di pietre. Se proprio devo dire ciò che più mi colpisce di tale figurazione favolosa è la montagna che si staglia nel cielo tenue del tramonto. Luogo di irraggiungibile bellezza. Arcadia non finisce mai, va oltre perché è oltre e significa il limite indefinito, l’aldilà laico mescolato con la religione di natura che si trasfigura in pura bellezza, pura nostalgia, puro sentire e puro vedere.
A contatto con gli déi insomma, o, se meglio preferite, con il divino. Non ancora nel divino. Permane un sottile diaframma legato ai sensi che vieta l’immersione nella infinità di Dio.
Un piccolo infinito dei sensi – e quindi finito – che prelude al grande infinito della liberazione.
Questo è stato il mio punto di partenza.
Tanti sono gli spunti e le suggestioni, anche musicali. Li ho raccolti pazientemente tutti: dalle lettere alla filosofia, alla pittura, alla scultura e alla musica.
Badate: non ho fatto una banale raccolta di rimandi. Non sono un erudito e non voglio esserlo. Ho piuttosto ricomposto un quadro partendo da mille e mille dettagli.
Un’opera improba eppure così suggestiva.
Riesco a dare alcune linee principali, da lasciare a chi vorrà intraprendere il cammino, per non indurlo negli errori che tutti hanno fatto?
Proverò a dirne sei, relativi a sei episodi che ho vissuto nelle sistemazioni parziali di Arcadia che mi hanno condotto fin qui.
- Seduzione. La dimensione dei pastori divini è altamente seduttiva. Chi non si lascia sedurre non potrà arrivarci. Ovviamente qui parliamo dell’alta seduzione, non solo quella degli sguardi e dei corpi, bensì di quella che si svela anche attraverso i corpi e i sorrisi allusivi. Il problema è che bisogna penetrare i corpi così a fondo per andare oltre: bisogna studiarli, osservarli, contemplarli, coglierne le sfumature, riandare alla loro bellezza originaria, oltre il disfacimento. Solo così ci si può dotare del corpo arcadico emblematizzato nelle Accademie dal nome arcadico che ai superficiali
(ignoranti) sembra tanto puerile e che invece ha un potere evocativo di grande rilevanza. - Libertà. Altro aspetto entusiasmante di Arcadia è la assoluta e totale, anarchica libertà che la contraddistingue. Nella nostra dimensione la libertà cozza contro i diversi voleri delle persone che ci vivono. Questo causa i conflitti. In Arcadia non è così: tutti tendono alla ricerca della bellezza, della pace e del risultato finale e operano concordemente in modo utopico. Per questo non v’è limite nella possibilità di sperimentazione. Essendoci un’unica etica non vi sono problemi etici. Tutto è non solo tollerato ma anche voluto e amato. Perché? Perché non v’è tensione di morte. Il rifiuto è gioco e come tale viene interpretato. E questo è forse l’accordo con l’infinita voluttà di vita che più si confà ai fini stessi del vivere e soprattutto del vivere bene. Nella libertà più totale v’è solo la comprensione del tutto dentro lo spirito della vita.
- Integrità. Arcadia è integrità assoluta. Non v’è divisione in essa. Ogni cosa è pensata nel suo insieme e non come parte. La bellezza viene percepita come unicità unita, completa di spirito, anima, corpo fisico, e spirito assoluto. Perché non esistono crimini in Arcadia? Perché il crimine è divisione, partizione, percezione limitata finalizzata al proprio io. La condizione per entrarci è quella di avere raggiunto la capacità di percepire le cose nel loro insieme. Questo non significa uniformità. Anzi. Significa totale diversità, ma orientata a un quadro complessivo che può comprendere ogni cosa. Quando si acquisisce questo sentimento di percezione unitaria non si può smembrare un corpo, un paesaggio, un oggetto.
- Atemporalità. Arcadia è fuori del tempo. In essa il tempo è immobile, e la giornata è sempre la stessa. Quando fa notte e ridiventa giorno, il giorno successivo è di nuovo il giorno precedente. Per questo non esiste vecchiaia in Arcadia, o meglio anche la vecchiaia è fissata per sempre. Qual è la conseguenza: i giovani pastori sono sempre giovani e la loro adolescenza non si offusca mai. La giovinezza là è delicata e trascendente nonostante la sua carnalità e la sua fisicità. Perché capita questo? Perché è avulsa dal tempo. Non è semplice immaginare un simile processo: bisogna operare per ciò che io chiamo contrasto simbiotico.
L’ho imparato pensando al dolore. Quando provi un forte dolore per superarlo devi immergerti in esso. Dopo il primo moto di angoscia, l’organismo si adatta alla mente che lo accompagna e diminuisce o quantomeno lo fa divenire sopportabile. Con il tempo è lo stesso: dovete pensare di immergervi totalmente in esso. Solo a quel punto ne vedrete i limiti, e attraverso lo sfrangiamento temporale si intravvedono i confini di Arcadia. Così è anche per il corpo e per le sua età. Tutti desiderano la sempiterna giovinezza. Per ottenerla occorre entrare in modo profondo nella propria età, comprenderla, nel senso di metterla tutta dentro la mente. Solo così si prende coscienza della giovinezza, quella sempiterna. E questa è Arcadia. - Purezza. Ci avviciniamo alle vette della creazione arcadica – o Runica, se preferite – . Quando si avverte nelle cose che si fanno un’indomabile nostalgia per la loro purezza perduta, allora si è sulla buona strada. Arcadia è ignota a chi non sente il richiamo per la purezza, perché essa è purezza al livello più assoluto. Ma anche qui non bisogna farsi trarre in inganno, sia in un senso che nell’altro.
Molti ottimi hanno perseguito la purezza uccidendo le proprie aspirazioni e costringendosi a infinite rinunce.
Le rinunce ci sono ma devono essere deliberate con serenità, senza costrizione. Così come, al contrario molti hanno voluto entrare in Arcadia senza voler rinunciare a nulla e quindi concedendosi tutto.
Ma vorrei dire che non si entra neanche con una visione semplicemente moderata. In realtà la moderazione non c’entra proprio niente con l’assoluto. Quello che Arcadia chiede è un’adesione alla purezza che passa anche attraverso il superamento di qualsiasi etica umana semplicemente perché limitata. L’adesione all’etica dell’assoluto è adesione all’etica dell’amore in tutte le sue manifestazioni. È non c’è immoralità perché l’amore non è mai immorale. Non solo in senso fisico, ma soprattutto in senso spirituale. C’è solo immoralità dove c’è partizione, divisione.
Badate questo non c’entra nulla con la sofferenza. La sofferenza è parte del tutto: anche i pastori soffrono in Arcadia. Ma è una sofferenza ponderata ed è inquadrata nella tensione finale. Questo la rende accettabile. Ed è per questo che Arcadia si definisce anche come la dimensione della NON sofferenza. Perché fa parte del tutto. - Divinità. E qui dobbiamo intenderci: il sacro è la dimensione dell’ultra sperimentale. In Arcadia tutto è sacro perché Arcadia è ultradimensionale, ultratemporale e ultraspaziale. Eppure in questo tutto che essa è, c’è posto per la meravigliosa fisicità, per la meravigliosa spiritualità e per la meravigliosa tensione verso Dio che si serve, ancora per un’intersezione tra infinito e finito, anche della fisicità.
Non è facile da spiegare, questo è forse lo sforzo più complesso da sviluppare nella vita quotidiana, quello cioè di saper guardare a ogni azione come a una raffigurazione emblematica spiegata e sostanziata dal semplice svolgersi di una possibilità concepita dalla nostra mente che però viene attinta dalla riserva infinita dell’Infinito.
Questo è ciò che sconvolge: la tremenda prossimità dell’uomo al divino e al tempo stesso la sua micidiale lontananza. Arcadia ne rende testimonianza e in qualche modo avvicina queste due dimensioni. È come una storia perpetua che si invera attraverso visioni sempre nuove che divengono esperienze che generano infinito e così via. A ben pensarci è per questo che la Bibbia afferma l’impossibilità di vedere Dio: la sua contemplazione farebbe esplodere in mille pezzi il reale creato dalle nostre menti. È solo attraverso le storie che una parte di infinito penetra in questa realtà. E il mio sforzo è stato quello di esplorare l’esplorabile per spostare sempre più in là il confine tra capienza della mente e realtà nella quale è immersa generata proprio da se stessa attingendo all’infinito.
Ora sono pronto per il gran salto.
Ho lasciato queste note perché intendo sfondare il diaframma. Desidero ardentemente entrare nel mondo di Arcadia e lì rimanervi per sempre.
Vi posso dire che le esperienze che ne ho avuto lo rendono altamente desiderabile. Prepotentemente desiderabile.
La nostalgia è così acuta da riuscire quasi insopportabile. E penso che il cammino ora sia compiuto.
Ho lasciato queste note per guidare nel tratto di strada che ci è consentito condividere, tutti coloro che desiderano compiere questo grande ed entusiasmante viaggio, soprattutto coloro che voglio arrivarci in modo pieno e totale e non solo mediato da ciò che noi chiamiamo arte.
Ecco: la mia esistenza comprova che questo è possibile e questa mia dipartita dimostra che Arcadia è raggiungibile e che tutti gli innumerevoli Arcadi che si sono trovati per intuizione davanti alla parete di cristallo che divide le dimensioni potevano con uno sforzo coraggioso oltrepassare il confine.
Chi si è ritirato non è biasimevole: ci vuole coraggio per compiere il gran salto. Ma io – che sono stato là – vi posso dire che molti l’hanno fatto e ora vivono felici un’esistenza eterna, atarassicamente felice, esattamente come quella che voglio per me.
E quindi Vale Vale Vale.