I.
«Lasci tutto sui gradini. Davanti alla porta»
Il ragazzo guardava confuso il sottile spioncino apertosi sul massiccio portone che chiudeva l’ingresso della casa.
Due occhi acquosi, cerulei, si intravvedevano nell’ombra e l’effetto era inquietante.
«Ho già pagato. Lasci tutto lì e se ne vada»
«Come vuole, signore» rispose il ragazzo e posò le borse colme davanti allo stipite. Poi si allontanò scuotendo la testa. Salì sul motorino con due cassette di legno legate allo chassis, una sul parafango posteriore e una incastrata sul manubrio e si allontanò scoppiettando e mormorando: «So’ ttutti pazzi»
Gli occhi si mossero nervosamente attraverso lo spioncino, scrutando a destra e a sinistra. Poi nella via deserta la porta si aprì velocemente e un braccio rinsecchito ritirò precipitosamente le borse, che vennero inghiottite all’interno. Quindi il portone sbatté e venne chiuso con innumerevoli mandate di chiavi e catenacci.
«Quattro secondi. Ho fatto tutto in quattro secondi» disse il vecchio appoggiato alla porta e si asciugò la fronte su cui vaneggiava un ciuffo di capelli grigi spettinati, unti di giallo sulle punte.
Poi decise di calmarsi: nel suo progetto, l’agitazione per qualsiasi cosa di futile che capitasse poteva essere pericolosa.
Pian piano, a piccoli passi portò le borse in cucina e ne distribuì tutto il contenuto sul tavolo.
Squadrò la spesa con aria sufficiente, dipoi si accinse a suddividere la mercatanzia in piccoli mucchi, a seconda del luogo di destinazione cui doveva andare.
La pasta da mettere nel primo mobile, tutta da una parte. Verdura fresca e frutta in un altro mucchietto: sarebbero finite nell’armadietto metallico sul balcone ombreggiato. Latticini e carne nel frigorifero, rispettivamente al primo e al terzo ripiano. Pane, biscotti e legumi secchi nel mobile che fungeva da panetteria. Quindi il resto, prodotti di pulizia, per l’igiene personale: tutto quello in bagno, nel mobiletto sotto il lavandino.
Dopo aver effettuato la divisione, trasportò ogni cosa al suo posto per ripristinare l’ordine iniziale, che doveva essere mantenuto così inalterato per il maggiore tempo possibile lungo la giornata.
L’orologio a questo punto indicava le nove e trenta. Fuori, il mattino si proponeva fresco, vero clima di primavera. Il signor Bergoni si affacciò appena alla finestra, da dietro le tendine, e sorrise, soddisfatto. Grazie a Dio con il suo piano strategico stava riuscendo a farla in barba a tutte le stagioni del mondo. Ricordava quando ancora era affascinato dalla primavera, dai fiori, dal vento tiepido e dalle primule che spuntavano all’ombra dei rigagnoli boschivi. In quei tempi amava uscire e passeggiare andando sulla scarpata di qualche fiume per scovare qualche corolla protesa verso il sole o qualche stelo vividamente smeraldino appena schiuso al tripudio di sole e vita.
Che perdita di tempo! Che imprudenza! Per buona sorte tutto aveva concorso a che si ravvedesse. Ancora ogni tanto provava qualche rimpianto per non aver cominciato prima, per essersi così attardato ad assaporare la vita senza aver contezza di ciò che gli stava capitando e che gli sarebbe successo sicuramente, s’egli non se ne fosse accorto in tempo.
Si sedette sulla poltrona dopo aver lanciato uno sguardo di commiserazione a una coppia di giovani teneramente allacciata, scorta sul fondo della strada.
Anche questo, anche questo aveva provveduto a eliminare dalla sua vita. Non c’è niente che richiami l’attenzione come innamorarsi. Egli era stato fortunato a non aver mai trovato l’anima gemella, solo ora lo capiva, e, quando ci pensava, trepidava per i pericoli che aveva corso, quando era stato a due passi dal baratro, con quella Rosita, e non se ne era reso conto.
«Ma nella vita c’è una Provvidenza» mugugnò «e dove manca l’acume ci pensa qualcun altro più in alto» concluse e si accomodò vieppiù sul cuscino per assumere la posizione da combattimento.
Quest’ultima consisteva nello stare perfettamente seduto, immobile, battendo le ciglia il meno possibile, mantenendo senza sforzo la posizione eretta.
Lì trascorreva le ore della mattinata fino a mezzogiorno, quando doveva poi alzarsi per sorbire quel po’ di cibo che gli serviva a vivere.
Dopo lungo pensamento aveva concluso che anche il sonno poteva riuscire utile nell’intento che s’era proposto e quindi s’era pian piano costretto a dormire un paio d’ore dopo il frugalissimo pasto. Non era motivo di digestione o quant’altro: semplicemente la pennichella rientrava alla perfezione nel piano di battaglia ch’egli aveva elaborato meditando moltissimo e arrovellandosi ancor di più sull’arduo problema.
Quando si svegliava, all’incirca verso le tre e mezza, quattro, riassumeva la posizione di combattimento sulla poltrona, indi cenava. Nel dopocena si concedeva l’unica pausa consentita col guardare un poco di televisione tanto per non rimanere isolato dal mondo.
In realtà era stato molto indeciso su questo fatto. Interessarsi a qualcosa in quella concezione dell’Universo che guidava i suoi atti, presupponeva che suscitasse un pari interesse in qualcosa d’altro, ma a ben pensarci tale interesse era così minimo che poteva permettersi di derogare al suo rigido programma giornaliero. Inoltre, argomentava egli, la visione dello schermo avveniva in serata, nel momento di passaggio dal giorno alla sera, quello in cui probabilmente l’astuta nemica era più indaffarata, e quindi era anche il momento nel quale egli avea sorte, probabilmente, di passare maggiormente inosservato ai suoi malvagi occhi scrutatori.
Dopo questo breve svago diveniva ora di dormire e, come egli si accucciava sul guanciale, chiudeva i suoi occhi in un sonno pesante e senza sogni, tanta era la tensione ch’ei metteva nell’osservanza delle sue regole.
II.
La volontà di Pasquino Bergoni di sfuggire alla morte con tutti quei complicati cerimoniali gli era maturata fin dalla giovinezza, anche se si era progressivamente chiarita e affermata con la sua maturità. Il ragionamento era semplice: «Se la morte non si accorge di me, mi lascerà stare per un tempo indefinito. Quindi tutto quel che devo fare io è di non attirare la sua attenzione. Sparire dalla scena del mondo stando immobile il più possibile, evitando qualsiasi azione che possa farmi notare, qualsiasi empito che possa smuovere la cortina di immobilità che dovrà circondare la mia vita»
Arrivare alla sparizione assoluta era evidentemente impossibile, ma lui non ambiva a tanto traguardo. Gli sarebbe bastato che la morte si fosse dimenticata di lui per qualche anno, due o tre decine gli andava bene. Calcolando che l’età media del grande trapasso per gli uomini andava innalzandosi verso la settantina inoltrata, lui l’avrebbe volentieri protratta fin verso il centinaio, d’anni si intende, tempo nel quale egli immaginava avrebbe visto cose incredibili se la progressione delle cose andava con la velocità con la quale l’aveva vista andare negli ultimi decenni del suo vivere.
Era curioso insomma e voleva riservare per sé una parziale soddisfazione alla sua curiosità con il tirarsi fuori dal movimento per poterlo meglio contemplare.
Egli non aveva ambizioni: non voleva essere importante, influire sul mondo, determinare l’esistenza di alcuno con un atto procreativo, né influenzarla con il dover prendere delle decisioni sul suo conto. In realtà era l’indole timorosa a determinare il suo astuto piano, una sorta di giustificazione ai propri occhi del suo desiderio di sparire, di non essere notato.
E così l’aveva nobilitata: il suo intento era sfociato in una battaglia epica che dell’epica abborriva però il chiasso e la fanfaronata. Silenzio e sparizione erano il suo motto e aveva trascorso il tempo della sua miglior vita a individuare spazi vuoti, non occupati, nei quali infilarsi per starsene in pace tranquillo a covare i suoi pensieri.
Parimenti erasi dedicato con la maniacalità certosina che contraddistingueva il fondo del suo carattere a costruirsi una rete di veti con l’obiettivo di vieppiù confondersi con la tranquilla monotonia dell’inesistenza: niente amicizie, niente appetiti, niente movimenti fisici. Dopo molti di questi ‘niente’ aveva dovuto affrontare anche la curiosità: l’istinto gli diceva che la curiosità era un campo sul quale la morte amava assai giocare per individuare le sue vittime. Così in un primo momento si era imposto anche: “niente curiosità”. Ma in seguito gli venne da riflettere che lo scopo stesso di tutta quell’assurda ragnatela che s’era costruita era proprio la curiosità. Allora gli venne il panico che la morte se ne fosse accorta o che se ne stesse per accorgere, cosicché ella sarebbe venuta un giorno a bussare alla sua porta per prenderselo assai prima dell’obiettivo ch’egli voleva raggiungere.
Eppure…. eppure…
Far tutti que’ sacrifici senza uno scopo… Col passare degli anni s’era abituato all’idea che anche solo un pochino l’eterna nemica prima o poi l’avrebbe notato, magari proprio in virtù di questa sua aspirazione verso il futuro.
Quando vide che la soglia rimaneva deserta, pian piano si compiacque di se stesso e sovente si fregava le mani – se ne pentiva subito e rimaneva immobile per una mezz’ora in più per riparare – dicendo: «Certamente questo mio desiderio è ben poca cosa rispetto agli smodati appetiti della gente che vuole, vuole e vuole senza limite… quello è il modo più pratico di attirare l’attenzione e di chiamarla…. Orsù, dunque, se anche ci lasciamo un piccolo cantuccio in cui non essere perfetti… in fondo è ben poca cosa rispetto alla smodatezza degli altri»
E la morte pareva averlo davvero dimenticato, così anche come il consorzio umano che prese pian piano a ignorare la sua esistenza, facilitato in questo dal gran caos cittadino, che nei suoi formicolanti alveari concede il lusso di qualche esistenza ripiegata, sopraffatta dal chiasso e dal restante pullulìo. Qualche traccia di lui era rimasta in alcuni remoti e polverosi incartamenti d’ufficio, per via della sua pensione, minima, e delle bollette che di quando in quando gli arrivavano in cassetta postale. Ben presto tuttavia, nonostante egli avesse appagato sempre con solerzia ogni richiesta, i consumi divennero così minimi che un funzionario decretò che le spese di riscossione sopravanzavano assai l’introito aziendale. E così un bel giorno cessarono di arrivare anche le bollette, pur senza che il servizio fosse sospeso. Fu un un gran momento quello per il Bergoni. Che i rapaci uffici esattoriali non si facessero più sentire, era il segno più chiaro della riuscita della sua missione.
III.
Il Bergoni considerava tutte queste cose quel pomeriggio, durante il suo non-lavoro pomeridiano quando, improvvisamente il campanello di casa trillò.
Un ghiaccio improvviso gli attraversò la colonna vertebrale.
Chi poteva mai essere? Erano anni che nessuno si avvicinava alla sua dimora, eccetto i garzoni dei negozi che venivano invitati a recapitare le merci a ore ben precise per ottimizzare il tempo ed evitare di doversi muovere dalla poltrona durante le sessioni di immobilità, oppure peggio ancora di dover aprire la porta in un’occasione non prestabilita.
Egli era sicuro di essere stato dimenticato da tutti. Aveva anche fatto in modo che la sua casa fosse divenuta un’anonima villetta scolorita, circondata da una vera foresta di giardino che egli era ben attento a non potare mai, né a lavorare. Tutti i dettagli dell’esterno dovevano essere ben curati per far apparire la sua, una dimora abbandonata e senza vita.
Chi si accostava dunque alla soglia?
Era un trillo casuale?
Avendo di fronte un’agitazione che minacciava di crescere, il Bergoni si impose di calmarsi e cercò di afflosciarsi sulla poltrona.
Il campanello trillò nuovamente.
Decise di ignorarlo, ma una strana sensazione cominciava ad affacciarsi dal fondo dello stomaco. Era un’inquietudine come non aveva più provato da molti anni.
Al terzo trillo egli non riuscì più a contenersi e si alzò colando sudore gelido sulla fronte.
Venne picchiato due o tre volte alla porta: «Signor Bergoni. È in casa?» chiese una voce femminile.
Il Bergoni sussultò di spavento.
Una voce femminile.
«Devo nascondermi. È arrivata. Mi ha trovato» pensò concitatamente mentre le mani prendevano a tremargli.
Altre tre picchiate: «Signor Bergoni, so che lei è in casa. Mi apra per favore»
Egli si alzò barcollando dalla poltrona e si avvicinò alla porta, indeciso e tremante.
«Sa che sono in casa» si ripeteva ossessivamente.
Accostò gli occhi allo spioncino rettangolare e lo aprì pian piano. Si trovò di fronte due occhi azzurri, femminili che guardavano divertiti verso i suoi.
«Buongiorno» disse la donna.
Indossava un vistoso vestito rosso, aveva una cartelletta in mano.
Il Bergonzi spiò quei fogli mentre si sentiva mancare il respiro. Erano pieni di nomi molti dei quali cancellati con una riga nera, spessa.
La donna sorrise, ma egli colse subito l’insolenza di quel sorriso, come se esprimesse un bel: «T’ho scovato finalmente»
«È lei Pasquino Bergoni?» chiese.
«Vada via. No, non sono io. Il signor Bergoni è… andato via. Non si sa più nulla di lui» disse esitando.
La donna rise.
Bergoni chiuse di scatto lo spioncino.
«Devo scappare» disse tra sé e sé.
«Non cerchi di scappare, signore» disse la voce della donna oltre la porta «Apra, devo parlarle».
«Andate via, andate via» disse egli con un rantolo. Aveva la bocca secca.
Sarebbe fuggito dal retro. «Mi ha trovato. Tutto è stato inutile. Che cosa ho sbagliato?» si chiese mentre andava di qua e di là senza meta per le stanze mentre l’altra, fuori continuava a suonare a a bussare.
Bergoni riuscì ad arrivare in camera da letto. Aprì l’armadio e cominciò a tirare fuori, in modo inconsulto i pochi vestiti che aveva.
«Farò la valigia. Prenderò un treno…» diceva tra sé e sé, sconnessamente.
D’un tratto dalla porta non si udì più nulla.
Egli si immobilizzò con il terrore che gli saliva dal ventre a gelargli tutto il sistema nervoso. Tese le orecchie in uno spasmo acutissimo e un improvviso dolore in mezzo al petto lo lasciò senza fiato. Si accasciò lentamente per terra con le mani che artigliarono due o tre volte il copriletto. Poi si immobilizzò, esanime.
La donna, fuori dalla porta cancellò il nome di Bergoni dalla sua lista.
«Un altro pazzo che tenta di evitare la casa di riposo. Domani manderò la polizia a vedere che cosa succede qui dentro.» e se ne andò mettendosi un paio di occhiali scuri.
Contrastavano meravigliosamente con i suoi riccioli biondi.