«Dicono che sia arrivato» l’usciere entrò trafelato nella saletta dove i ragazzi stavano aspettando dalle otto.
«Alla buon’ora» disse la donna ben pettinata che doveva essere la madre di una ragazzina, spocchiosa come lei, che si ravviava nervosamente una ciocca di capelli.
«Verrete chiamati quando il maestro sarà pronto ad ascoltarvi» disse l’usciere.
«E lo strumento?» chiese un ragazzo allampanato con un gran ciuffo che arrivava fino al naso.
«Si trova già nell’aula»
L’uomo uscì chiudendo piano la porta.
Qualcuno sbuffò, qualcun altro gemette.
Una bambina che avrà avuto sei o sette anni si mise a frignare: «Non voglio andare dal Maestro» disse singhiozzando. La madre strinse i denti: «Se non la smetti ti dò due ceffoni. Sai quanto ho dovuto sudare per avere questa audizione?»
In un angolo un ragazzino minuto, biondo leggeva un libro. A differenza di tutti gli altri pareva tranquillo.
«Chi ti accompagna? Chiese il ragazzo allampanato.
Quegli alzò lo sguardo dalla pagina e rispose, sorridendo: «Nessuno»
«Sei venuto… da solo?» il ragazzo strabuzzò gli occhi.
L’altro lo guardò incerto: «Si capisce… perché?»
«Tu sei fuori di testa» gli rispose quello «Sai chi stai per incontrare?»
Il ragazzino chiuse il libro e lo squadrò, divertito: «Renée Lagarde, l’arpista»
L’altro scosse il capo: «Il più grande arpista del mondo»
«Ok. Il più grande arpista del mondo» il ragazzino riaprì il libro e ricominciò a leggere.
«E non sei nervoso? Io sto morendo di paura» riprese il ragazzo.
«Come ti chiami?»
«Arthur. E tu?»
«Nivel» rispose il ragazzino.
«Nivel. Mai sentito un nome così» fece il ragazzo allampanato stringendosi le mani sudate.
«Non l’ho scelto io».
«E chi ti ha mandato qui? Chi è il tuo maestro?»
Nivel chiuse nuovamente il libro.
«Nessuno» disse «Ho chiesto io al maestro se voleva sentirmi»
Un’altra ragazza si era avvicinata: «Io studio con la Holstein. È un anno che mi preparo per questo incontro. E voi da quanto vi preparate?»
Arthur la guardò diffidente: «Sette mesi. Ma fino all’ultimo il mio maestro era incerto. Dice che mancare questa occasione significa sciupare un’occasione unica. E poi lui non ha molto tempo. Bisogna essere sicuri di quello che si fa»
«Giusto» disse Nivel, convinto.
«E tu?»
«Io? In realtà non mi sono proprio preparato un pezzo… »
«Cioè?» fece Arthur senza parole.
«Gli ho chiesto se voleva suonare qualcosa con me»
Arthur cominciò a balbettare: «O sei un ballista o sei un pazzo… Non si chiede a uno come lui se vuole suonare con te…»
«Ah, no?» fece Nivel costernato «Allora ho sbagliato tutto?» chiese apprensivo.
«Questo è sciroccato» disse Arthur voltandosi verso la ragazza che scuoteva il capo.
L’usciere si affacciò alla porta: «Il maestro è quasi pronto. Qualche minuto ancora»
«Quest’attesa mi distrugge» disse Arthur nervoso.
Nivel aveva ricominciato a leggere.
«Arthur Garnier» chiamò l’usciere.
Il ragazzo si voltò di scatto: «Sono il primo?»
«Venga, al maestro non piace aspettare.» ebbe per tutta risposta.
Arthur estrasse da una sacca tre o quattro fascicoli. Li prese e poi esitante si avvicinò alla porta semiaperta. Un uomo fece per avvicinarsi ma un cenno dell’usciere lo trattenne: «Il maestro non vuole vedere genitori durante l’audizione. Poi dopo, se il parere sarà positivo vi riceverà»
Quando il ragazzo venne inghiottito dall’uscio, tutti, tranne Nivel emisero una specie di singulto.
Trascorsero una decina di minuti. L’uscio si aprì restituendo un Arthur dall’aria costernata.
«Com’è andata?» chiese l’uomo, accostandosi nervoso.
Il ragazzo scosse il capo: «Non ha neanche ascoltato fino alla fine il pezzo, ha cominciato a battere sul manico di una poltrona una specie di bacchetta… e poi ha fatto cenno di andare via. Non so. Non mi ha detto niente»
Uno dopo l’altro i ragazzi vennero fatti entrare e dopo un tempo più o meno lungo, chi imbronciato, chi in lacrime uscivano e venivano consolati dai loro accompagnatori.
«Dobbiamo aspettare qui fino alla fine?» chiese sgarbata la madre della bambina che era stata fatta uscire dalla stanza dopo appena tre minuti.
Nivel guardava di sottecchi tutti quei musi e provava pena per loro. Finalmente fu il suo turno.
«Nivel Picard» fece l’usciere.
Il ragazzino chiuse il libro e si avviò verso la stanza.
«Non dimentichi qualcosa?» chiese l’usciere.
«Che cosa?» chiese Nivel.
«La musica»
«Non ho musica» disse il ragazzino sorridendo.
L’usciere alzò le spalle e fece entrare il ragazzino.
La stanza era un’ampia aula con un’arpa al centro appoggiata al tappeto. Davanti allo strumento una poltrona ospitava un uomo di mezza età, dall’aria corrucciata. In mano aveva una bacchetta che tamburellava nervosamente sul bracciolo.
Gli lanciò uno sguardo seccato: «E tu che cosa vuoi suonare?» gli chiese.
Nivel ricambiò il sorriso: «Quello che vuole lei, maestro»
Quegli si riscosse brevemente: «Cioè? Non ho capito…»
«Quello che vuole lei» ripeté cortesemente il ragazzino.
Il maestro lo guardò di traverso: «Mi stai prendendo in giro?» chiese aggressivo.
«No. Davvero. Lei mi dica un pezzo. Se lo conosco glielo suono, se non lo conosco la prego di darmi la musica»
Il maestro incrociò lo sguardo con una donna raffinata seduta un poco dietro di lui: «O questo è il bambino più incosciente che io abbia mai incontrato oppure…» disse a mezza bocca. Poi sogghignò: «Ti andrebbe di suonare qualcosa di Gliere?» gli chiese.
«Di Gliere conosco solo il concerto per arpa e orchestra» rispose il ragazzo tranquillo, lasciando il maestro esterrefatto.
«Devo suonare quello?» chiese.
«Hai bisogno della musica?» ribatté il maestro, incredulo.
«No, se lei fa la parte dell’orchestra. Se può ovviamente» detto in modo da lasciar intendere “Se è in grado” o almeno così interpretò Lagarde.
Il maestro si sentì punto sul vivo. Si voltò vivamente verso l’usciere: «C’è un’altra arpa?»
L’usciere guardò velocemente la donna e poi corse fuori, ritornando poco dopo con un carrello su cui c’era un’arpa monumentale, dorata.
Il maestro si accomodò: «Possiamo cominciare?» chiese provocatorio.
«Per me va bene» Disse Nivel.
Lagarde attaccò il primo accordo e Nivel tratteggiò uno degli arpeggi più graziosi che il maestro avesse sentito nella sua carriera di musicista.
Lo guardò stupito e il duetto proseguì. Dopo qualche istante il maestro dimenticò quasi di essere a un’audizione ed entrò dentro la musica, sostenuto dal solista, nel quale per un tratto brevissimo egli intravvide se stesso, bambino prodigio, suonare il meraviglioso strumento al quale aveva dedicato tutta la passione e la parte più vibrante della sua vita.
La sintonia divenne in breve praticamente perfetta e il maestro fu trascinato entro un vorticare di note che si ordinavano precise, mature, in una successione personale, con una consapevolezza artistica del tutto incredibile se si guardava l’età dell’esecutore.
Questi da parte sua era tranquillo e perfettamente a suo agio.
Sì, qua e là c’era qualche rudezza, qualche acerbità che uno studio di alto livello avrebbe potuto ripulire… ma già così… era stupefacente. La maggior parte degli arpisti che aveva incontrato, anche dopo anni di studio non avevano quella freschezza e quella spontaneità che rendevano il ragazzino un arpista naturale di livello eccezionale.
Quando egli ebbe terminato la parte solistica del concerto il maestro aveva le lacrime agli occhi.
«Scusa» disse, tergendosi gli occhi con un fazzoletto.
Non aveva attaccato la parte dell’orchestra: «Ti stavo ascoltando…» disse allargando le braccia.
Poi si ricompose gli chiese più freddamente: «Come ti chiami’»
«Nivel Picard»
Il maestro fece un sobbalzo sulla sedia: «Picard?»
Gli mancò il respiro.
«Picard?» chiese in un rantolo.
«Sì.» rispose il ragazzino.
«Conosci un certo Anatole Picard?» gli chiese sbiancando.
«È mio padre» disse semplicemente Nivel.
Lagarde si alzò e andò ad abbracciare il ragazzino.
«Il figlio di Anatole… che cosa sta facendo ora? Dov’è?» chiese commosso fino alle lacrime.
«Mi ha detto di salutarla e di ringraziarla»
«Ringraziarmi?» fece Lagarde confuso.
«Sì sì..» ripeté il ragazzino.
«E perché dovrebbe ringraziarmi? Lui era il più grande di tutti… un talento universale…» disse il maestro.
«Se non era per lei, io non ci sarei adesso… questo mi ha detto di dirle… e se potevo venire a scuola da lei»
«Ti ha insegnato tuo padre… che cosa posso ancora insegnarti io?» disse quasi con reverenza Lagarde.
«La prega, se può, di prendermi come allievo»
Lagarde si sentì bruciare di rimorso.
Guardò negli occhi il ragazzino: «Sì, hai gli stessi occhi di tuo padre, E la sua stessa naturalezza. Ma io non permetterò che… come è successo a lui.. questa volta… glielo prometto… diglielo, glielo prometto» e gli porse la mano.
Il ragazzino la strinse con naturalezza.
«Quando possiamo cominciare?» gli chiese poi.
Lagarde scosse il capo: «Quando vuoi»
«Va bene Lunedì?»
«Quando vuoi… ma adesso finiamo il concerto» riprese riscotendosi «Sai anche il secondo movimento?»
«Sì certo…» disse Nivel e si sedette nuovamente all’arpa, sorridente.