Chiudendo gli occhi. La tua maschera facciale deforma leggermente la realtà che rimane esclusa da te. Non nel senso che rimane fuori. La realtà non può essere fuori da te. Sei tu che l’inventi, o meglio la crei con il meccano della tua mente. Sei tu che forgi il tempo dandogli la direzione ch’egli deve avere per impressione biologica delle cellule preposte a detta creazione. Sei tu che lo vivi con bolle di oblio che però si squarciano di tanto in tanto e adiscono a frammenti confinati da orologi biologici in locazioni sì lontane da parere incommensurabili.
Eppure esse sono e sono in te. Semplicemente, in quanto parte di un tempo così librato sopra di te come già tutto esistito e ancora tutto da esistere.
E anche quando i contagi della corruzione minano la materia mentale, anche lì aleggia l’infinito, e ti pare di vivere un tempo tutto tuo, assurto in una dimensione celeste, quasi aliena eppure così vera, anzi l’unica vera perché in fondo ti trascende.
È così che si sta bene, così che recupera rigenerazione, astrarsi da questo meccanismo, come una pausa necessaria al senso del fluire che tanto ci affatica e ci prova.
Così è stato ieri quando eri piccolo, e oggi mentre vivi la tua estate, e sarà quando arriveranno autunno e inverno, sempre troppo presto eppure sempre così infinitamente eterni.
Perché in fondo è a questo che devi rivolgerti, all’eternità, di cui tu sei così compenetrato da esserne parte e creazione e creatore integrante.
Lo so che queti miei detti dovranno essere da te meditati per tutta una vita prima di poter essere compresi così come io il ho compresi dopo tutta la mia vita, piena di meditazione.
Come una musica che comincia ogni frase in una tonalità differente e come un pedale di canone sul quale aleggia una melodia raggiante.
La musica. Credo che la musica sia la creazione più sublime a cui abbia accesso la mente intelligente perché è tempo e spazio fusi insieme dalla materia sonora che si dipana e si scioglie nel tempo ed è essa stessa tempo. Nella storia della musica vi sono state epoche di così grande vicinanza al senso ‘sciolto’ del percepire reale, ad esempio come in quelle composizioni che come onde del mare lambiscono periodicamente un monumento melodico fatto di rimandi al tutto.
E veniamo al nostro requiem che da qualche parte è già risuonato in una cerimonia funebre, come una nenia dolcissima in grado di cullarci e di accompagnarci nell’esplosione dell’eternità dentro di noi. Così capirai che non è dispersione nel gran mare dell’eternità ma piuttosto invasione e implosione della nostra anima intensificata dentro l’eterno che si concentra, gran spazio entro un punto e gran tempo, in un solo istante che tutto lo contiene.
Quindi noi siamo già morti, abbiamo già vissuto tutta la nostra vita mentre la stiamo vivendo, siamo eternamente nati, stiamo eternamente vivendo, eternamente, siamo già morti implodendo nell’infinito. Di che cosa possiamo ancora avere timore, se non della frazione di mancamento dato dal fondersi della nostra materia spirituale con la gran materia spirituale del cosmo che noi stessi abbiamo intessuto in un gioco d’amore, una danza ricorrente, un circolo orgastico…
Gli incontri non si ripetono ma al suono d’arpa modulano i loro Kyrie mesciti ai requiem aeternam degli abissi superni così pieni e così vuoti…
Insomma ecco tutto quel che c’è da sapere.
Nonché l’anello che ci tiene incatenati al tempo, da sfondare, almeno virtualmente, con una piccola comprensione del nostro pencolare tra dimensione ridotta e arcadicità supreme innervate nella natura ma rimandanti alle etereità divine.
Tutto va al proprio posto.
Credenze di fede, idee astratte del supremo volo, coincidere del tuffo con l’atto d’amore e di fiducia più grande che ci viene richiesto al quale dobbiamo essere preparati al rivivere circolare di questo esistere.
Non cerchio e non linea, orizzonte che si schiude, germoglia come pollone nelle intime recessità, quelle più vicine all’ingeneratore della vita, alla sua insufflazione e anche, perché no, alla sua perdita, al suo cessare, al suo termine.
Ma dall’altra parte della nostra dimensione, fine, inizio, trascorrimento hanno poco senso. Sentimento che ci sfiora spesso e che ricacciamo come ridicolo, seppure sia il più logico, il più sincero.
Dunque, Vale, mio allievo.
Vale. Vale. Vale.
Triplice suggello al passaggio. Quel che dovevo tramandarti in anni di frequentazione in fondo così estranea, è ormai trascorso.
La tromba celeste suona per noi. Davanti al Tutto è ben poca cosa, ma nel nostro tutto è invece il salto più completo mai effettuato e mai più effettuabile.
Quando ci rivedremo saremo un tutto e sarà facile trasmetterci quel che dobbiamo apprendere senza mediazione di linguaggi e parole.
Dunque non addio, ma arrivederci.
Come chi ha oltrepassato il velo e sa.
Ha visto.
Ha vissuto.
Ha amato.