«Mi pare che tiri un poco qui, sui fianchi» la ragazza guardò dubbiosa la madre.
«Non direi. Lei che ne dice?»
La commessa si mise il centimetro al collo. Si allontanò un poco e fece cenno alla ragazza di alzarsi.
Quando fu in piedi le girò attorno fissandola con l’aria più professionale che riuscì a esprimere.
Alla fine si avvicinò e puntò uno spillo dove l’abito faceva un minuscola piega, sul fianco.
«Va meglio ora?» chiese.
Madre e figlia si guardarono e andarono allo specchio.
«Non so… direi di sì, ma non sono ancora del tutto soddisfatta» disse la ragazza.
«Potrebbe farci vedere, signorina, un nastro lucido qui sotto, per rimarcare un po’ di più il seno?» chiese la madre dopo un assorto pensiero.
La commessa prese un bandolo di nastro di raso e, portatasi dietro la futura sposa, puntò una linea di demarcazione tra il busto e il reggiseno incorporato nell’abito.
«No, no… direi che era meglio prima. Che ne dici cara?» diniegò la genitrice.
«A me non dispiace…»
La commessa fece un passo indietro e sistemò le mani della giovane come se dovesse portare un bouquet di fiori.
«Rispetto al modello originale il nastro rende un poco più aggraziata la figura ma rischia di far cadere il vestito in un modo meno… lineare»
Le due donne la guardarono smarrite. «In che senso?» si risolse infine a chiedere la madre.
«Ecco vede… qui… la linea è questa ma il nastro la incurva un poco… vede?» fece la commessa segnando una linea immaginaria sul fianco.
«Credo che abbia ragione signorina… come si chiama?»
«Nora» rispose la commessa arrossendo lievemente.
«Credo che Nora abbia ragione, mamma» disse la ragazza.
«Direi di sì. Niente nastro. Però così il corpetto mi sembra del tutto spoglio» osservò la madre.
Nora attese qualche indicazione. Quella era la prima prova dell’abito quasi terminato. Mancava ancora qualche dettaglio, ma il più era fatto. Osservò per la prima volta gli occhi della ragazza: erano ardenti, come quelli di tutte le ragazze che approdavano lì. Osservavano quasi febbricitanti la stoffa bianca, i pizzi, il tulle, le perline cucite tra le pieghe e sfavillavano al pensiero della figura che avrebbero fatto quel giorno. Il gran giorno.
Nora sorrise in se stessa. Erano proprio tutti uguali i volti di quelle giovani spose.
«Questo è un abito importante» disse «non va sovraccaricato»
Poi andò a un cesto, lo aperse ed estrasse una applicazione bianca, semitrasparente, di filo ricamato, tutta foglie e volute. La applicò al corpetto appena sopra la vita.
Il volto della ragzza si illuminò in un sorriso.
«Era proprio quello che volevo. Una cosa così…. come me la immaginavo»
«Davvero incantevole. Molto bene signorina Nora. È perfetto.»
La ragazza si alzò e andò allo specchio per guardarsi ancora una volta.
«Proprio così. Benissimo»
Nora si lasciò scappare un minuscolo sorriso, compiaciuta.
La madre guardò il minuscolo orologio al polso: «Uh. È tardi. Dobbiamo andare. Quando possiamo venire la prossima volta?»
Nora andò al bancone e aprì un quadernetto tutto spiegazzato, pieno di appunti.
«Giovedì o Venerdì… Meglio Venerdì»
«Venerdì va benissimo. Per allora sarà quasi pronto?»
Nora allargò le braccia: «Dovremmo riuscire a completarlo, almeno nella parte basilare. Tutto il resto… la stola, la mantellina… dobbiamo ancora vedere…»
«Sì, dicevo l’abito…»
«Per Venerdì potrebbe essere finito» confermò Nora mentre scriveva qualcosa su una pagina del quaderno.
«Meraviglioso. Questo è importante… non credi mamma?» disse la ragazza.
«Ci sono ancora tante cose…»
Nora chiuse il quadernetto, poi commentò: «Ma l’abito è una delle cose fondamentali per le nozze. Risolto quello, s’è già fatto un bel passo avanti»
«Non c’è dubbio» disse la madre indossando il cappotto grigio che Nora le aveva porto.
Quando furono uscite la commessa si avvicinò nuovamente al manichino su cui era modellato l’abito. Staccò l’applicazione e la ripiegò su una delle spalline con un appunto: “al girovita”.
Poi fece rotolare il manichino con sopra l’abito, in sartoria.
Mentre passava nel corridoio minuscolo che collegava il laboratorio al negozio venne investita dall’odore delle stoffe contenute nel magazzino che si affacciava sul disimpegno.
Si arrestò un istante. Dalla porta semiaperta vide la signora Trebalzoni in bilico su una scala mentre riponeva uno scampolo di taffetà bianco.
Si affacciò alla porta: «Ha bisogno di aiuto signora?» chiese.
«No, cara. Che cosa stai facendo?»
«Porto in sartoria l’abito Pizzetti.» rispose Nora.
«Aspetta un momento, fammelo vedere»
La signora scese dalla scala e si affacciò al corridoio dove sostava il manichino.
«È buio nel corridoio… vuole che glielo riporti in negozio?»
La Trebalzoni fece un cenno di diniego mentre studiava le fattezze.
«Chi ha variato il modello?» chiese.
Nora arrossì: «Le signore mi hanno chiesto qualche ritocco…»
«Così è molto bello» disse la Trebalzoni annuendo soddisfatta.
Nora si inchinò leggermente.
«Su, svelta portalo in sartoria… digli che lo rifiniscano bene. La famiglia Pizzetti ci può fare un bel po’ di pubblicità»
La sartoria era piena di ragazze che sforbiciavano ai banconi o che cucivano con vetuste ma efficienti macchine da cucire di grandi dimensioni.
Nora si avvicinò a una ragazza che aveva i capelli raccolti in alto con un elastico variopinto. Masticava una gomma, intenta a cucire un orlo.
«Bisogna aggiungere questa applicazione sul girovita» le disse a bassa voce. L’altra prese la decorazione e la squadrò attentamente. «Che dice la Trebalzoni?»
«Ha detto che va bene»
«Io ne avrei messa una rebrodé… »
«Le signore hanno scelto questa» replicò piano Nora.
«Boh, se va bene a loro…»
Nora guardò l’orologio a muro in sartoria. Erano quasi le cinque. Rientrò in negozio e rassettò il camerino di prova. Chiuse tutte le ceste, le scatole con le applicazioni, l’armadio dei nastri. Pulì la specchiera. Mise in ordine le sedie e gli attaccapanni nel guardaroba dei visitatori.
Quando la saracinesca fu abbassata, andò nello spogliatoio del personale e si tolse il grembiule da lavoro.
Si affacciò alla porta sul retro e un tuono brontolò nell’aria ormai buia.
Mentre si affrettava per la via di casa fu sorpresa dalla sua immagine che si rifletteva sulle vetrine dei negozi affacciati sulla strada.
Rallentò poco per volta: ad ogni riflesso il vetro restituiva un’immagine lievemente diversa del suo cappotto, del suo ombrello, del suo volto, dei suoi occhi.
Ella si fermò d’un tratto, come estranea a se stessa. Chi era quella figura che la guardava dal vetro? Di chi erano quegli occhi che la squadravano quasi spauriti?
Smarrita si voltò d’intorno, strinse la borsetta tra le mani e si avviò più velocemente verso casa.
Uno scroscio di pioggia si abbatté sul viale.
Per fortuna aveva l’ombrello.