3° Racconto della Serie Mentalist
La sottile arte dei mentalisti non si impara: si eredita. È dunque necessario sapere che tra gli uomini si aggirano in incognito mentalisti di diverso livello ed esperienza in grado di dirigere silenziosamente i pensieri e le azioni dell’umanità. Uno dei campi più proficui dell’attività mentalista riguarda dunque la filiera della persuasione: dalla pubblicità alle trattative diplomatiche è raro non trovare nelle delegazioni e nei gruppi di lavoro un mentalista che in incognito si adopera usando i suoi poteri per far andare a buon fine mediazioni che altrimenti non si potrebbero neanche pensare di osare.
Episodio 3 – Trattative diplomatiche
«Eccellenza» mormorò il segretario porgendo al ministro un ponderoso fascicolo «Ecco la documentazione della trattativa per il mantenimento del controllo delle armi nucleari di teatro da parte dei comandi dell’alleanza»
«Cioè sotto il nostro controllo» disse quasi distratto il ministro Malpighi mentre firmava alcune carte.
«In pratica sì, anche se, come potrà leggere, non sarà completo» disse il segretario.
«In che senso non sarà completo?» replicò secco il ministro.
«Nel senso che il paese alleato in questione vuole avere parte al processo decisionale di lancio, stante il fatto che ospita – e mantiene – le nostre basi militari»
«La questione non esiste» replicò secco il ministro «Lo sapete bene, si tratta di decisioni da prendere in pochi minuti. L’inibizione al lancio dovuta a una consultazione di natura politica fa perdere qualsiasi efficacia alla deterrenza dell’arma. Dunque è no. Ma perché è stata posta questa richiesta?»
Il segretario estrasse un fazzoletto profumato e si asciugò il sudore che cominciava a imperlare la sua fronte: «La faccenda è stata sollevata dal professor Tersich, durante le ultime trattative. Quell’uomo è un vero mastino e ha sabotato qualsiasi tentativo di fuorviare la discussione, senza contare che…»
«Volete dirmi che la delegazione diplomatica del nostro paese, formata dai funzionari più esperti del mondo si è lasciata tenere in scacco da un… universitario qualsiasi?» strillò il ministro battendo il pugno sul tavolo.
«Ecco, Tersich non è un universitario qualsiasi… Sua Eccellenza forse non lo conosce ma è uno dei pochi esperti mondiali della materia in grado di sostenere tesi incontrovertibili dal punto di vista scientifico e…» balbettò l’ometto la cui mano destra cominciava visibilmente a tremare.
«E le tesi politiche?» urlò ancora più forte il ministro. Poi batté un altro pugno terribile sulla scrivania, sbuffò e disse: «Perché me la prendo con voi… chiamatemi il capo delegazione… come si chiama… Mister Krabach… ditegli di venire subito qui»
«Come desiderate… anche se»
«E dico subito. Devo risolvere la questione prima dell’incontro di posdomani» fece il ministro congedando di fatto il segretario.
Il segretario, Mister Gharoviev, deplorava in cuor suo che alla guida di un dicastero tanto delicato quale quello degli Affari esteri, da più di un governo venisse incaricato un emerito imbecille che non sapeva nulla di trattative diplomatiche e ignorasse per lo più il livello di esperienza di gran parte delle delegazioni che si incontravano per trovare punti di mediazione su tesi e punti di vista assai spesso non solo in antitesi tra loro, ma più spesso ancora in aperto conflitto.
Quando rientrò nel suo ufficio sbatté di malagrazia la porta, si sedette alla scrivania e chiamò la sua segretaria: «Signorina, mi chiami Krabach. Urgentemente. Lo trovi, dovunque sia. Il capo vuole vederlo, ma non glielo dica» e poi sbatté il microfono del dittafono sulla sua sede.
Prese a sfregarsi le tempie cercando di spremersi un’idea quando un ronzio lo fece sobbalzare.
«Che c’è Gharoviev?» chiese una voce nota all’altro capo del filo.
«L’ha saputo» disse con una nota di panico nella voce.
«E…?» chiese l’altro.
«È furioso»
«Come potevamo immaginare» disse Krabach.
«E adesso che si fa?» fece con un sospiro Gharoviev.
«Temo che dovrò venire lì. Poi troveremo una soluzione» fece il plenipotenziario capodelegazione misurando con attenzione le parole. Gharoviev non poté trattenere un sorriso di ammirazione: il modo con cui aveva concluso quella frase la diceva lunga sulle abilità dialogiche di quell’esperto.
«Attenda un momento: comunico che accettate l’incontro. Ovviamente dovrete adeguarvi alle sue esigenze…»
«Ovviamente» fece Krabach condiscendente.
Gharoviev staccò la linea per un momento e si collegò al dittafono sulla scrivania del ministro.
«Eccellenza, quando devo fissare l’incontro…. Sì ha detto che viene. Domani? Concorderò con lui l’ora va bene.
Ripassò al telefono. «Domani pomeriggio» disse a Krabach.
«Sta bene ci vediamo» concluse seccamente Krabach e chiuse la comunicazione.
Il ministro passeggiava nervosamente nella stanza: «Non si doveva accettare la sua piattaforma» disse seccato.
«Siamo stati tutti colti alla sprovvista quando l’abbiamo visto arrivare. Il suo nome non era negli elenchi della commissione. È stata una sorpresa per tutti» replicò freddamente Krabach.
«Nondimeno vi ha messo nel sacco» controbatté il suo interlocutore con malcelata maligna soddisfazione.
«Era inevitabile» concluse rassegnato il capodelegazione.
«Adesso dobbiamo rimediare per ripartire daccapo» disse il ministro parlando più con se stesso che con il suo delegato, che pure aveva nominato lui «Il processo decisionale sull’impiego delle bombe non può essere messo in discussione».
Krabach aprì la bocca per replicare vivacemente ma si trattenne e la richiuse subito.
Dopo qualche istante il ministro si sedette alla scrivania. Congiunse le mani davanti al volto e disse: «Dobbiamo far fare un salto di qualità alla delegazione, senza nulla togliere al lavoro che è già stato fatto.
Krabach inghiottì un barile di bile a quella affermazione ma sorridendo agre si inchinò davanti al ministro con fare condiscendente.
Malpighi si sedette e cominciò a sfogliare un quadernetto che aveva tratto da un cassetto della scrivania. Era logoro e consunto, come se fosse molto vecchio e molto usato. Lo sfogliò e poi il suo volto si illuminò: «Ecco qui. Delorean. Un tipo tosto. Lo chiamavano culodipietra. Capace di stare ore e ore al tavolo di trattativa senza perdere un ette di lucidità. Se esercita ancora, fa al caso nostro»
«Intendete… quel Delorean?» Krabach stirò il volto in una smorfia di disgusto: «Ho dovuto lavorare con lui un paio di volte e ho sempre concluso che avrei cercato sempre di starmene alla larga»
Il ministro ignorò completamente l’osservazione: «Lo faccio contattare subito.»
«Deve avere una bella età» osservò Krabach «Era già un uomo maturo ai tempi dell’affare Surgut»
«Di che cosa state parlando?» chiese il ministro.
«Niente» fece Krabach sospirando.
«Signorina cerchi di rintracciare il dottor Delorean… il diplomatico, e lo convochi il più presto possibile.»
«Mi permetto di consigliare prudenza… Delorean è, come dire…. un cane sciolto e può essere controproducente allargare in un affare delicato come questo…»
«Voi sarete ancora lì a consigliare prudenza quando lui avrà già terminato di sistemare Tersich» osservò acidamente il ministro. Poi disse: «Vi chiamerò quando avrò contrattato la partecipazione di Delorean al prossimo tavolo» con evidente intenzione di congedare il plenipotenziario.
«Come desiderate. Ma non dite poi che non vi avevo avvertito» disse Krabach, velenoso.
Il ministro ridacchiò: «E voi non dite che non vi avevo detto che cosa si doveva fare, quando Delorean arriverà con la Convenzione firmata così come l’abbiamo scritta noi»
Krabach allargò le mani con fare rassegnato: «Come ritenete opportuno» e si ritirò mormorando: «Vecchio stronzo. Ti accorgerai come ti inculerà il tuo Delorean»
Tredici ore di rumore di foresta.
Delorean aveva acquisiato quel cristallo sonoro durante l’ultimo viaggio in Brasile. Lo sciamano che gliel’aveva offerto aveva una mente piuttosto semplice ed era bastato un semplice intervento di empatia perché gli regalasse quell’oggetto che DeLorean desiderava tanto.
Il principio di funzionamento del cristallo era molto semplice e non ci voleva un mentalista per capirlo.
Delorean, immobile sul tappeto di concentrazione con le braccia aperte a squadra, era in sintono con quella musica fogliare che scaturiva dal profondo della mente, quasi come si trovasse nella cuccetta dell’Ingeneratore.
Il bianco della sala, riverberato dalla luce solare che penetrava, appena attenuata, dalla grande vetrata, secondo la diacritica dei colori doveva favorire l’immersione in quell’universo neutro del più profondo imo del sé che lui, Delorean aveva sondato ed esplorato per primo, unico mentalista a essere riemerso da quell’oceano rombante senza visibili danni psichici. Non sapeva con precisione quanto questo fosse dovuto alla sua speciale abilità , o alla fortuna o all’eccezionalità della sua conformazione mentale o quanto ancora alle ‘soglie’ applicategli durante la sua formazione in Accademia. Un arredamento neutro quello che prediligeva, essenziale, denso di straordinaria eleganza e semplicità.
Quando decise che il tempo di rigenerazione era finito, riemerse lentamente come un subacqueo in decompressione e riprese gradatamente coscienza della propria individualità.
Constatava come, con il passare del tempo e con la familiarità all’unione trascendentale al Tutto, ritornare nel proprio corpo fosse sempre più difficile e tutto sommato sgradevole.
«Un giorno o l’altro mi perderò nell’oceano e non tornerò più» disse celiando con se stesso mentre cominciava il lento cerimoniale degli esercizi di riapproprio in cui riconnetteva i muscoli alla volontà centrale della mente.
Quando ebbe finito si alzò, si mise un accappatoio leggero che era più veste da camera e si accinse al bagno.
Proprio in quel momento un comunicatore cominciò la sua litania di richiamo. Delorean provò un inutile senso di seccatura che represse istantaneamente e rispose con un collegamento mentale alla chiamata.
«Delorean?» chiese una voce lontana all’altro capo della linea.
«Con chi parlo?» chiese il mentalista mentre si apprestava a sondare i pensieri del suo interlocutore. Ebbe subito chiaro il motivo della chiamata, il disagio, anzi il terrore che quell’uomo provava nei suoi confronti, nonché la contrarietà al suo coinvolgimento nella missione diplomatica che stava per proporgli.
Lo lasciò pazientemente parlare ed esporre il motivo di quella chiamata – aveva uno strano modo di girare intorno alle cose – e al termine di uno sproloquio alquanto confuso inviò un sorriso mentale di rassicurazione a quel lacché e poi rispose: «Mister Gharoviev, accetto l’incarico che mi avete così gentilmente offerto. Sarò domani in Altheria a disposizione di sua eccellenza Malpighi. Se ovviamente questo non contrasta con i suoi programmi.
«No. No» rispose Gharoviev. In realtà lui sapeva benissimo che Malpighi non avrebbe potuto riceverlo il giorno seguente, ma qualcosa lo spinse a rispondere ugualmente in modo affermativo.
«A domani dunque» chiuse Delorean e interruppe il collegamento.
Il mentalista raggiunse il bagno che nel frattempo si era attivato e aveva preparato la vasca con le solite essenze profumate che avevano lo scopo di fissare meglio i benefici della concentrazione. Lasciò cadere a terra la veste da camera e si immerse rabbrividendo di piacere al contatto con l’acqua tiepida.
Quando uscì dalla vasca e andò nella cabina di asciugatura, Delorean si guardò allo specchio.
«Domani ci sarà sicuramente quel maiale di Krabach» disse distrattamente ad alta voce.
Doveva trovare un aspetto decisamente più vecchio di quello e doveva anche ricordare in quale sembianza si era presentato a quello squalo quando era entrato in contatto con lui. Per fortuna nel suo possente archivio mentale c’era tutto, ben stivato e catalogato così non faticò a ricostruire la cronologia dei contatti con colui.
“Dovrò risultare plausibilmente più vecchio di come sono ora” si disse osservando nello specchio il volto abbronzato di un giovane uomo che avrà potuto avere al più trentacinque anni.
“È stato più di vent’anni fa, quindi dovrei essere sulla sessantina adesso.” e provò a trasformarsi usando i parametri di invecchiamento applicati al suo corpo, alla sua personalità e alla sua storia.
Ne uscì un volto più rugoso, con occhi cisposi e capelli assai radi, tirati in riporto sulla cocuzza pelata. Vedendosi conciato in quel modo provò un violento impulso di nausea e si affrettò a ritornare al suo solito aspetto.
“Così può andare” disse tra sé e sé, poi afferrò un katana appeso a una parete, si concentrò ed effettuò un perfetto kata nihohme: la sua secolare esperienza sapeva che avrebbe dovuto effettuare una mossa simile al suo presentarsi al ministero.
Sorrise. Posò la lama perfettamente affilata al porta katana fissato alla parete e andò in camera per fare il suo essenziale bagaglio.
Krabach cercava di contrastare fieramente quel mieloso senso di pacificazione che emanava da Delorean. Si osservò intorno: gli altri partecipanti alla riunione erano completamente soggetti al fascino di quel pericoloso individuo, eppure il suo sesto senso gli suggeriva di vegliare. Non si fidava, non si era mai fidato degli ‘uomini della provvidenza’ come taluni cercavano di figurare agli occhi degli stolti. Un giochetto che spesso costava la vita a milioni di persone, se si pensa a quanti nel corso della storia erano caduti sotto il loro giogo.
Delorean sorrise. Aveva letto perfettamente i pensieri di quell’intimo ribelle e, pur odiandolo, aveva concordato perfettamente con lui. Ma proprio perché lo odiava aveva rinunciato a soggiogarlo con qualche operazione mentale. Preferiva piuttosto tenerlo sulla corda e infliggergli un fastidioso senso di inquietudine che lo turbava a fondo ogni volta che lo guardava.
«Dunque mi sono spiegato» disse Malpighi al mentalista «Bisogna convincere quel Tersich. È prioritario» insistette il ministro.
Delorean allargò brevemente le mani con un’espressione rassegnata: «Faremo del nostro meglio» disse con tono d’autorità che non sfuggì a Krabach e che gli inflisse un dispetto tale da perdere quasi il controllo. Krabach trasudava insofferenza verso il consulente del ministro e non cercava neanche di celarlo. Era così evidente.
«La riunione per determinare la strategia nei prossimi colloqui è fissata per domattina» concluse il ministro.
Tutti si inchinarono con una certa deferenza e lasciarono l’ufficio.
«Voi Delorean» disse d’un tratto Malpighi mentre l’interpellato stava chiudendo la porta «Vi dispiacerebbe fermarvi un momento?»
Delorean rientrò, chiudendo la pesante porta riccamente decorata. Si sedette nella poltroncina davanti alla scrivania e lesse nella mente di Malpighi che cosa questi volesse dirgli.
«Vorrei chiedervi un parere» disse il ministro distrattamente mentre consultava un dossier annotando qualcosa con una matita.
«Sono a vostra disposizione» disse Delorean, neutro.
«Credete che riusciremo a convincere quel riottoso? Mi trovo in una posizione alquanto critica con i miei sostenitori che vogliono il controllo completo sulla faccenda che sapete. Per me è importantissimo incassare questo risultato, mi rafforzerebbe molto…» disse Malpighi, posando la matita sulla scrivania.
Delorean aveva chiaro tutto il disegno, che poteva ben definirsi tristo, abbietto e contorto, della mente del politico.
Una personalità caduta poco per volta sotto i colpi della struttura di governo e totalmente soggiacente alle sue leggi.
«La garanzia completa della riuscita di una missione non c’è mai per nulla al mondo» osservò saggiamente Delorean per sfilarsi.
«Volevo precisare che io vi ho fortemente voluto qui. E che non lesinerò certo sul vostro compenso se questo potrà portarci a casa la vittoria» insinuò Malpighi.
Delorean fece un gesto infastidito: «Non è questione di ricompensa»
«Forse voi siete immensamente ricco e il denaro non v’interessa» buttò lì il ministro.
Delorean sorrise: «Non sono tenuto a rendere conto a nessuno dei miei possedimenti. Ma in effetti il denaro non è la principale attrattiva per uno come me» rispose abbassando il tono della voce verso la fine della frase.
Malpighi annuì: «Proprio come mi avevano detto i miei informatori. Mi viene una curiosità: se non è il denaro che vi muove, Mister, allora che cos’è? Passione per la politica? Necessità di impiegare la vostra indubbia capacità di condurre trattative diplomatiche?»
Delorean lo guardò senza espressione. Gli inviò un’urgenza di non occuparsi più di lui, poi disse: «Signore, mi sono ritirato da tempo. Non penso neppure di essere all’altezza della situazione e soprattutto non sono un taumaturgo. Non posso far cambiare il corso della natura, questo deve essere ben chiaro»
Passeggiò vicino al finestrone dell’ufficio per un po’, poi aggiunse: «E comunque se v’è la necessità di dare un minuscolo contributo alla soluzione di questo problema – che peraltro è un pericolo per tutta l’umanità – , non mi tirerò indietro. Ma voglio carta bianca»
«NO» disse Malpighi «Il vostro incarico, di concerto con quello di tutti gli altri, si deve svolgere entro un perimetro di rivendicazioni ben preciso e limitato»
Delorean, senza cambiare espressione, si avviò verso l’appendiabiti nell’angolo vicino alla porta.
«Stiamo perdendo tempo» fece per tutta risposta indossando il cappotto.
«Aspettate. Io carta bianca ve la do ma ve la dovrete guadagnare» rispose Malpighi agitato: aveva appena dovuto affrontare un improvviso attacco di panico quando aveva visto Delorean andarsene.
«Questo è un problema mio. Quel che voglio da voi è l’assicurazione che la trattativa la concluderò a modo mio con il risultato che voi avete indicato»
Malpighi stette fermo qualche istante, cercando di raccogliere i pensieri.
«Sta bene» rispose alla fine «Non perdiamo di vista l’obiettivo che il ministero vi ha posto. E portate a casa il risultato»
Delorean si aprì a un minuscolo sorriso: «Non dubitate. Avrete ciò che vorrete»
Quando Tersich vide Delorean impallidì rapidamente. Dunque era lui l’asso della manica di quell’idiota di Malpighi.
Tersich conosceva ogni dettaglio della vita di Delorean, quindi provvide a circondare la sua mente con una barriera d’offuscamento basata su alcuni potenti stati neuronali – ovviamente indotti – e cercò di ritirarsi nel nucleo centrale più segreto del suo io.
Delorean invece sorrise maligno. Anche lui sapeva tutto di Tersich, riusciva a leggergli tranquillamente nella mente nonostante la barriera e in più poteva gabbarlo a suo piacimento perché dalla sua di mente non trapelava – ne era sicuro – assolutamente nulla.
Delorean lo obbligò a sedersi sulla poltrona del capo negoziatore di fronte a lui e Tersich impallidì ancora di più.
“Chi ti ha prezzolato?» gli chiese mentalmente con brutalità Tersich.
«Svolgo una missione per l’umanità” rispose, sempre mentalmente Delorean, beffardo.
Intanto gli altri della delegazione, superando l’inusitata peculiarità di quella situazione come se fosse naturale che i due avrebbero guidato la trattativa presero posto attorno al tavolo.
Delorean cominciò a scaldare i circuiti neuronali di Tersich, mandandolo in sofferenza.
Questi cominciò a sudare e ad asciugarsi pesante gocce che principiarono a scendergli dalla fronte.
«BASTARDO» urlò mentalmente e gli inviò uno spasmo diretto al centro nervoso del battito cardiaco. Delorean lo parò facilmente e fece un ghigno maligno a Tersich che iniziava a diventare paonazzo.
«Si sente bene, professore?» chiede un membro della sua delegazione sottovoce, vedendolo così in difficoltà.
In quel momento Delorean lasciò la presa e Tersich ricostituì una parvenza di normalità fuori di sé.
Delorean sorrise amabilmente: «Abbiamo preparato un protocollo di ripresa della trattativa, a partire da alcune variazioni che abbiamo ritenuto opportuno inserire nella base di discussione» disse e le sparò nella mente di Tersich che, conosciutele, sussultò.
“Non avrai questa soddisfazione” ringhiò mentalmente Tersich, poi disse, prendendo il dossier senza aprirlo: «Chiediamo di poter avere un poco di tempo per esaminare nel dettaglio questo dossier che non era previsto nel protocollo di trattativa approvato nello scorso incontro» disse Tersich.
«Ben fatto» mormorò l’individuo seduto alla sua destra.
“Lo approvi ADESSO” fece mentalmente Delorean lanciando una lancia di puro terrore che penetrò attraverso le difese di Tersich squagliandole.
Tersich vacillò: “È diventato mostruosamente potente” si lasciò sfuggire di pensare e Delorean gli lanciò un grugnito mentale di soddisfazione: “Esatto” fece risuonare nella sua mente.
“Sono spacciato” fece Tersich “Cerchiamo almeno di salvare le apparenze” piagnucolò tentando di prendere tempo.
Delorean operò una mossa illegale di stretta dei centri vitali primari. Una smorfia attraversò il viso di Tersich: “Ho detto ora. Tuttavia ti do il tempo di leggere il protocollo. Discutiamo una mezz’ora e poi lo approverai. Ti ho già fatto arrivare una lettera dal tuo Consiglio per la sicurezza che ti dà pieni poteri” Delorean allentò la presa.
Tersich, mortalmente pallido disse ad alta voce: «Distribuite il dossier. La questione è urgente e dobbiamo arrivare a un accordo»
I membri della delegazione di Tersich si guardarono sorpresi. Delorean li pacificò e tutti si misero a leggere le poche pagine del dossier che aveva preparato per l’incontro.
“Ti rendi conto di quello che stai facendo?” fece Tersich mentalmente.
“Perfettamente” rispose Delorean.
“Credevo che il progetto Controllo avesse anche la tua approvazione” tentò ancora Tersich.
“Esattamente”
“E allora? Perché vuoi sottrarre il controllo degli armamenti atomici agli alleati dell’Altheria?” domandò rabbioso il professore.
Delorean sorrise brevemente a Tersich che aveva alzato gli occhi dal dossier che stava fingendo di leggere.
“Perché così funzionerà meglio. Ho fatto alcune proiezioni. E inoltre ti prego di rivederti il comma 65” rispose.
Tersich scosse il capo, poi andò a ripassarsi il nuovo comma 65: l’attivazione dell’attacco nucleare doveva essere fatto con il controllo di cinque membri dell’organo di governo Altheriano.
Tersich alzò gli occhi interrogativo verso Delorean.
“Uno sarò io” gli rispose lui.
“Sei un dannato squalo arrogante” gli sputò addosso Tersich “Un fascista fintamente democratico”
Delorean sorrise nuovamente: “Non parlarmi di fascismo ti prego. Non tu”
“D’accordo, avevo sbagliato analisi allora. L’ho anche ammesso nel Consiglio dell’Ordine. Ma la lezione mi è servita” disse di rimando Tersich.
“Diamo qualcosa e otteniamo molto di più. E IO non mi sbaglierò quando dovrò usare la mia chiavetta. Per questo preferisco un controllo centralizzato” chiuse beffardo Delorean.
Tersich scosse il capo rassegnato.
Poi chiese ad alta voce ai suoi: «Che cosa ne dite?»
«Ci pare una proposta ragionevole. Tuttavia srebbe utile discutere qualche dettaglio» fece l’uomo seduto alla destra di Tersich.
Gharoviev guardava quella scena come se non credesse ai suoi occhi. Quanto fosse stato duro il colloquio la volta precedente, con quanta foga Tersich si era battuto per strappare il controllo degli armamenti al suo paese, così ora tutto sembrava sottomesso al fascino magnetico di Delorean.
Questi dal canto suo si divertiva un mondo al vedere le reazioni di quel diplomatico navigato, sensazioni che acuivano in lui un acuto senso di invidia nei suoi confronti e di fastidio se non addirittura di odio.
Per rincarare la dose Delorean si voltò verso di lui e gli disse all’orecchio: «Non era poi così terribile questo Tersich»
Per mezz’ra le due delegazioni persero tempo a richiedere il cambiamento di qualche parola, a sottolineare ridicole divergenze, a colmare insignificanti divari.
Quando fu l’ora si approvò il nuovo protocollo si fece il comunicato stampa e e ci si trasferì nella sala stampa per comunicare l’avvenuto accordo.
Sull’aereo che lo portava lontano dall’Altheria, in incognito, Tersich sedeva corrucciato nella sua poltrona. Si massaggiava i bulbi oculari per rivedere che cosa fosse successo.
Perché Delorean? Che cosa voleva significare la sua presenza in quell’affare? E quanto era l’iniziativa di una scheggia impazzita? Il fatto che l’Ordine non lo potesse più controllare era un nuovo elemento che gli portava un certo sconcerto.
Una cosa però era certa. Bisognava capire come Delorean fosse divenuto così potente.
E bisognava farlo presto.